Genova. Il troppo stroppia, anche quando si parla di eventi culturali in grado di richiamare grandi quantità di visitatori. Perché il rischio è quello di “rompere il giocattolo” e diventare vittime del turismo di massa, un po’ come Firenze. È il monito lanciato da Piero Boccardo, storico dell’arte, ex direttore dei musei di Strada Nuova, tra i primi artefici dei Rolli Days. All’inizio del 2022 rassegnò le dimissioni a un anno e mezzo dalla pensione, generando un discreto terremoto negli ambienti politici e culturali. Oggi si definisce un “felicissimo pensionato” dedito alle attività che non riusciva più a curare a dovere – lo studio e la ricerca – ma non per questo si sottrae al dibattito in un momento di grande fermento costellato anche da qualche voce critica.
Si è appena chiusa l’edizione invernale dei Rolli Days, un meccanismo ormai collaudato che ha ispirato anche la riscoperta della Genova medievale. Sembra quasi che la cultura non abbia mai ricevuto tanta attenzione come oggi. Cos’è che non va?
Nel complesso si fa una grande opera di promozione dei Rolli Days sotto l’aspetto economico, perché mi rendo conto che esista anche questo risvolto. Quello che manca, a mio giudizio – può essere che ci sia, ma non appare chiaramente – è una valorizzazione che non sia solo legata alle visite. Bisognerebbe andare avanti nello studio.
Che cosa intende?
È una questione che ho manifestato fin dall’inizio. Quelli sono i palazzi in cui venivano ospitate le delegazioni ufficiali delle altre potenze. Ma allora perché non si cerca chi è stato ospitato effettivamente e dove? Un conto è l’elenco dei Rolli, documento che esiste in varie edizioni all’Archivio di Stato, ma poco si sa dei personaggi prestigiosi che vi sono entrati. E che contribuirebbero a valorizzare l’intero complesso o anche un singolo edificio. Non è una ricerca difficile, basta guardare i Libri cerimoniarum della Repubblica. C’era il gioco dello scaricabarile: si poteva scampare l’impegno e le spese dell’ospitalità pagando una multa. Tutta questa serie di vicende, altrettanto curiosa e utile alla conoscenza e valorizzazione dei Rolli, mi pare importante da conoscere. La valorizzazione passa anche attraverso lo studio. Questo aspetto è sempre stato carente.
Perché, secondo lei?
Forse perché una richiesta del genere è poco in linea con le esigenze di marketing che vengono portate avanti. E poi ci sono altri aspetti contraddittori all’interno dei Rolli stessi
Ad esempio?
Nell’elenco ufficiale Unesco ci sono palazzi che nei rolli non ci sono mai stati. Palazzo Rosso è stato costruito dopo la compilazione dell’ultimo elenco, di conseguenza non figura nei documenti, eppure rientra nel sistema per il fatto che è in via Garibaldi. E, tra l’altro ha ospitato il principe elettore di Baviera, poi diventato imperatore: non è un elemento da poco. Del resto ero ancora con Poleggi quando in città girava la commissione Unesco. In un discorso a tutto campo, per quanto i Rolli siano un elemento forte, avrebbe avuto più senso dichiarare patrimonio dell’umanità l’intero centro storico anziché un po’ di palazzi qua e là secondo una logica un po’ cervellotica. Per dirne una, nell’elenco Unesco non c’è palazzo Doria di Principe, solo perché rimane fuori dall’itinerario.
Comunque sia, il Comune punta a moltiplicare le aperture durante l’anno per sostenere l’incremento di visitatori. È giusto secondo lei?
Ho qualche perplessità. Se ho capito bene l’ultima edizione sarebbe la prima di una serie di tre nel 2024. Si può valutare, ma non si può nemmeno aumentare le edizioni all’infinito: il giocattolo poi si rompe.
In che senso?
Nel senso che i palazzi hanno strutture, forme, dimensioni, scale funzionali alla vita di una famiglia. Non sono palazzi pubblici: basta confrontare lo scalone di Palazzo Rosso con quello di Palazzo Ducale. Di conseguenza bisogna tenere conto che sono nati per una frequentazione normale. I sindaci di qualunque colore politico che, vedendo i visitatori dei Musei Vaticani, pensano che Palazzo Rosso o Palazzo Spinola possano fare stessi numeri, sappiano che con quei numeri i palazzi genovesi si consumano. Ma nel senso letterale del termine. Non si può far entrare un milione di persone in palazzi concepiti per le esigenze di una famiglia, tutto va commisurato.
Come vede l’idea di legare i palazzi dei Rolli a filoni sempre nuovi, come De André nel caso più recente?
Non trovo sbagliati i filoni, semmai è troppo improvviso e infittito il programma. Dieci anni fa era difficile parlarne a livello nazionale, però parlarne in continuazione può essere controproducente. Io di marketing non ne so niente, e quindi la mia è solo un’opinione, ma è importante valutare tutti i fattori e non voler esagerare nei numeri e nella comunicazione.
Però sembra difficile contraddire l’affermazione che più comunicazione si fa e meglio è…
Non ne sono sicurissimo. Gli effetti di una sovraesposizione li vediamo a Firenze. E io non vorrei che Genova diventasse come Firenze. Una città del genere non vuol dire solo numeri di turisti da vantare, ma anche, ad esempio, che non ci sono più negozi normali, solo gelaterie o ricordini. Mi piacerebbe che Genova mantenesse quel carattere, quel tipo di vita ancora legata a determinati modelli di vivibilità, che non sono quelli del turismo di massa e dei suoi risvolti.
Tant’è vero che in città come Venezia si parla di overtourism, ma anche nelle nostre Cinque Terre.
E si ragiona di numero chiuso. Dovremmo riuscire a trovare il giusto mezzo tra le esigenze economico-commerciali, il funzionamento di alberghi ed esercizi pubblici e le esigenze della città intesa come complesso di vita che c’è all’interno. Non si può pensare solo in termini turistici.
Ma secondo lei è davvero plausibile che Genova possa diventare una città di prima fascia come Roma o Firenze?
Non posso dirlo con certezza, ma pensiamo a un altro aspetto: le navi da crociera sono sempre più grosse, in certi giorni estivi è quasi difficile circolare in via Garibaldi da quante persone si riversano lì scendendo dalle navi. Roma è grande e la gente si sparpaglia, Genova è piccola, non ha un centro storico enorme e la bellezza è concentrata.