Genova. E’ stata la polizia ferroviaria a comunicarle che l’uomo trovato senza vita all’alba del 5 dicembre tra cartoni e coperte davanti alla stazione Principe, a Genova, era suo marito. “Si chiamava Seydou Diallo, e non Diallo Seydou come avete scritto in tanti, aveva 62 anni e non 72, e non era un senza tetto, era mio marito, sebbene legalmente fossimo separati da tempo, e la sua storia merita di essere raccontata“.
A parlare è Marianna Lunardoni, genovese di Arenzano. La sua voce è calma e triste mentre parla dell’uomo con cui ha trascorso oltre 15 anni di vita. “Siamo stati insieme a lungo, lavorando entrambi come coordinatori di progetto per diverse ong in Paesi africani – spiega – questo per dire che Seydou era un manager, si era laureato a Dakar e specializzato a Parigi, la sua famiglia è facoltosa, suo fratello è il terzo uomo più ricco del Senegal e a lungo sono stati loro a inviare denaro a noi, in Italia, per aiutarci”.
Sì perché il 62enne, racconta la moglie, aveva gravissimi problemi di alcolismo. “Era stato seguito dal Sert, era stato ricoverato, aveva provato diversi percorsi per superare questo dramma ma non c’era riuscito e quindi aveva iniziato a perdere un lavoro dopo l’altro, a essere una persona problematica, è per questo che alla fine abbiamo deciso, insieme, di separarci”.
Marianna Lunardoni parla della separazione e di quello che è accaduto dopo con un velo di rimorso, non tanto per la scelta ma per il fatto che forse, quella scelta, fosse legata alla necessità di mantenere un minimo di reputazione in un piccolo centro come Arenzano. “Già il fatto che fossi sposata con un africano non era accettato da tutti – dice – ma a un certo punto ho iniziato a temere di poter essere mal vista per via della sua condizioni, ma non l’ho abbandonato, il giudice che ha seguito la nostra separazione ha stabilito che lui vivesse a casa mia per un anno e che io gli versassi 15mila euro, poi è andato a vivere da un nipote a Rimini, ma a quel punto, dalla fine di ottobre 2022, ho perso le sue tracce“.
La donna è rimasta in contatto con la famiglia di Seydou Diallo, che in queste ore sta cercando di riportare la salma in Senegal per i funerali, ma da oltre un anno non aveva notizie dell’uomo. Secondo quanto raccontato dalla Caritas diocesana e dal Comune di Genova Diallo era stato ospitato da diverse strutture cittadine negli ultimi mesi, dal Massoero alla fondazione Auxilium, per un periodo massimo di 30 giorni in ogni centro. “Io non riesco a spiegarmi come mai nessuno mi abbia contattato se non per comunicarmi il suo decesso”.
La moglie di Seydou Diallo non si spiega il perché egli non abbia mai fatto il suo nome, non abbia cercato il suo aiuto. “Non sapevo neppure che fosse a Genova, avrebbe dovuto essere a Rimini”. In realtà è una dinamica, questa, assai frequente in alcuni senza fissa dimora. Gli operatori spesso raccontano che il problema è proprio intercettare queste persone e convincerli a farsi aiutare.
L’arrivo in Italia negli anni Ottanta. Seydou Diallo aveva la carta d’identità italiana (ma al momento della morte non aveva documenti con sé, ha stabilito la Polfer). Nato a Dakar, è arrivato in Italia da immigrato regolare alla fine degli anni Ottanta. Ha lavorato come coordinatore di progetto per Carità senza Confini Onlus in Zambia e per Africa Mission Cooperazione e Sviluppo in Uganda e per Global Cleaning Shop in Senegal. Ultimamente aveva svolto mansioni in alcune realtà locali, come il canile di Arenzano. Prima di Marianna Lunardoni era stato sposato con un’altra donna, italiana, dalla quale aveva avuto un figlio, ormai adulto.
“Seydou amava tanto l’Italia”, dice la moglie. Che vuole capire come mai non sia stato possibile salvare il marito a cui non aveva mai smesso di voler bene. E cosa sia accaduto nell’anno in cui è sparito dai radar dei suoi cari. Pur trovandosi a pochi chilometri di distanza.