Genova. Il processo di radicalizzazione cominciato pian piano all’età di 17 anni con l’adesione ‘telematica’ al gruppo terrorista pachistano Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP), vicino ad Al-Qaeda, gli allenamenti ginnici quotidiani e i cambiamenti esteriori, le preghiere e gli abiti tradizionali, le numerose ricerche di istruzioni sull’utilizzo delle armi e poi i video e i post inneggianti l’Islam violento, gli attentati, le uccisioni e le decapitazioni degli infedeli.
Quasi due anni di indagini da parte della Digos di Genova guidata da Riccardo Perisi, partite dalla segnalazione di una fonte confidenziale, hanno portato stamani in carcere Faysal Rahman, 22 anni, originario del Bangladesh che si era messo in testa di fare la Jihad per contribuire anche con il martirio a rovesciare il governo pakistano e fondare un emirato basato sulla interpretazione più radicale della legge islamica.
Voleva andare a fare la fare il mujaheddin, Faysal, e nel frattempo postava foto e video degli allenamenti ginnici per prepararsi ai combattimenti, ricercava freneticamente istruzioni per imparare a usare un AK-47, e pubblicava video, foto e commenti colmi di odio e di violenza verso gli ‘infedeli’. Rahman lavorava in una ditta di subappalto ai cantieri navali di Sestri. E’ arrivato con la famiglia in Italia alcuni anni fa. Anche il padre lavora ai cantieri navali. Una famiglia musulmana credente ma non radicale spiega una qualificata fonte investigativa.
Rahman si definiva sui social soldato di Dio, diffondeva video di attentati e azioni violente da quelli dell’11 settembre fino ai post pro Hamas postati l’8 ottobre 2003, il giorno dopo l’attacco terroristico contro Israele. Aveva aderito al gruppo terrorista pachistano Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP), vicino ad Al-Qaeda, TTP), riconosciuto autore del 57% degli attacchi terroristici avvenuti in Pakistan nel 2022, nonché fortemente sospettato dell’attentato kamikaze del 30 gennaio 2023 alla moschea della città di Peshawar, nel Pakistan nordoccidentale, vicino al confine con l’Afghanistan, che ha causato 45 morti e 150 feriti.
“L’indagato ha contribuito attivamente a divulgare video o post aventi ad oggetto gravi attentati terroristici (l’attacco dell’I 1.09.2001 rivendicato da Al Quaeda, il video della simulazione del crollo della torre Eiffel con la scritta “la polvere non si poserà mai” attribuita la noto terrorista Anwar Al Awlaki) in molti casi inneggianti la jihad in generale, i gruppi terroristici e i suoi esponenti e a veicolare messaggi di odio e violenza contro singoli o intere comunità (come quella LGTB o gli Indù) in nome di Allah, diffondendo così un messaggio di propaganda della Jihad e delle azioni violente riconducibili ai menzionati gruppi terroristici di TTP e Al Quaeda – scrive il gip Elisa Campagna nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere – e rendendosi così consapevolmente un tassello della strategia mediatica attuata dagli stessi, che mira a reclutare sempre più militanti e adepti proprio attraverso l’indottrinamento e utilizza la propaganda per creare emulazione, indirizzare consenso e incitare alla violenza”.
Circa l’appartenenza al gruppo TTP il gip segnala come il 22enne non solo ha condiviso il manifesto della della nascita del ‘Gruppo dei 20’ ma “era in contatto, anche tramite l’applicazione di messaggistica istantanea telegram, con l’internauta Abir Ahmed, uno dei sodali del “Gruppo dei Venti”. Quest’ultimo, il 21 gennaio di quest’anno inviava un file contenente l’immagine che poi RAHMAN avrebbe utilizzato come avatar del suo profilo facebook che rappresenta una fotografia dell’indagato elaborata con un software in cui si mostra con caratteristiche e abbigliamento tipici di un guerriero musulmano di epoca medioevale. E tutti gli altri aderenti al gruppo in contemporanea hanno fatto lo stesso”
Il cambiamento fisico, che viene notato dalla madre in una conversazione intercettata dove la trova trova il ragazzo ‘dimagrito‘, viene ostentato anche sul proprio profilo Facebook, nel quale Faysal si mostra in fotografia in un post con i capelli visibilmente più lunghi, “elemento che indica la sua volontà di assumere i caratteri tipici del radicalismo salafita e con il viso parzialmente coperto dalla scritta, in caratteri arabi, ” M J J ^ ” (tradotto Ghuraba o Al-Ghurabaa35 –
Straniero/strano). Quest’espressione significa, spiegano gli investigatori della Digos “estraneo tra gli stessi musulmani richiamando un concetto, indubbiamente comprensibile alle persone cui si rivolge (propri correligionari che condividono, almeno in parte, le sue opinioni radicali) per proporsi come un esempio”.
Rahman il 1 settembre 2023 ha pubblicato un video sul suo nuovo profilo Facebook in cui si ritrae in abiti da lavoro con un caschetto in mano, seduto a terra, mentre ripete con evidente trasporto emotivo, le parole del nasbeed, un canto apologetico del martirio in nome dell’Islam che recita fra l’altro “Dove precipita bomba a grappolo, l fumo della polvere da sparo fluttua nell’odore dell’aria, cadendo sotto migliaia di proiettili, trovò la felicità all’ombra del martirio”.
Secondo il gip Rahaman, che ha apertamente condiviso la base ideologica e gli scopi di Al Quaeda, “oltre a svolgere un’azione già utile e strumentale al buon funzionamento dell’associazione terroristica di cui si discute attraverso le propaganda on line, si sta preparando per prendere parte attivamente al conflitto violento. Egli, pertanto, non si è limitato ad aderire al programma criminale, ma si è messo a disposizione dell’associazione, svolgendo attività preparatorie per l’esecuzione del programma stesso ossia quello del jihad (in primis attraverso l’auto – addestramento mediante preparazione sia fisica che sull’utilizzo di armi e, in secondo luogo, promuovendo la propria effettiva disponibilità al martirio)”.
Oltre all’arresto del 22enne la Digos questa mattina ha proceduto a due perquisizioni nei confronti di due indagati: uno è un giovane disoccupato, anche lui originario del Bangladesh e residente a Genova che avrebbe messo in contatto Rahaman con un tabligh (cioè un predicatore islamico itinerante, il secondo indagato) residente a Mantova, che secondo gli investigatori potrebbe aver contribuito alla radicalizzazione del giovane.