Genova. La Liguria, nonostante la modesta estensione territoriale, è la seconda regione italiana per numero di frane da piogge intense che hanno provocato danni. È quanto emerge dallo speciale alluvioni del rapporto Città Clima 2023 di Legambiente. Nella nostra regione dal 2010 ad oggi sono stati contati 11 eventi contro i 12 della Lombardia e i 9 di Calabria e Sicilia.
I dati si riferiscono agli stati di emergenza dichiarati alla Protezione civile nazionale per eventi meteorologici, alluvioni e frane, perciò evidentemente non tengono conto degli episodi di minore entità, che sappiamo essere molto frequenti sul nostro territorio. Per esondazioni fluviali spicca un po’ a sorpresa Milano, che registra 20 episodi relativi a Seveso e Lambro. Genova si colloca al terzo posto a pari demerito con Senigallia a quota 3 esondazioni. Per quanto riguarda gli allagamenti si registrano 10 casi insieme ad Ancona e Napoli: a Roma sono stati 49, a Bari 21, ad Agrigento 15, a Palermo 12.
Come osserva Legambiente, a livello nazionale, gli anni appena passati, hanno visto “una serie quasi ininterrotta di allerte e stati di emergenza che non è più possibile ignorare”. L’inverno 2021-22 è stato dichiarato dalla Società meteorologica italiana “tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni“.
E a proposito di Liguria, in tema di estremi delle precipitazioni vanno ricordati, nel 2021, i record di pioggia registrati il 4 ottobre, con il massimo di 882,8 millimetri in 24 ore a Rossiglione, in Valle Stura. Poco dopo, il 24 e 25 ottobre, nella parte ionica e meridionale della Calabria e nella Sicilia orientale furono raggiunti oltre 250 millimetri in poche ore.
Numeri preoccupanti se si pensa che l’Italia è un gigante dai piedi d’argilla e ad elevato rischio idrogeologico con 1,3 milioni di persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione, secondo i dati Ispra.
Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). “Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il Pnrr ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi all’anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno”, accusa Legambiente.
Secondo l’associazione “a pesare in questi anni in Italia è stata l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Per questo oggi l’associazione ambientalista, in occasione del lancio del suo report e a pochi giorni dell’apertura della COP28 sul clima a Dubai e del suo XII congresso nazionale dal titolo L’Italia in cantiere in programma a Roma l’1, 2 e 3 dicembre e incentrato su crisi climatica e transizione ecologica, ricorda quelli che devono essere i due pilastri cardine della buona gestione del territorio: la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e “la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento”.
Al Governo Meloni Legambiente lancia un appello affinché in tempi rapidi definisca una nuova governance del territorio, che riveda le politiche territoriali tenendo conto di quattro priorità:
1) Approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e individuare le linee di finanziamento stanziando adeguate risorse economiche (a oggi assenti) per attuare il Piano.
2) Approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni. Occorre, poi, far rispettare il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e i vincoli già presenti, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento.
3) Superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi.
4) Costituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio, e rafforzare la collaborazione tra gli Enti in modo da avere priorità di intervento e vincoli di tutela coerenti tra i diversi livelli, con l’obiettivo anche di fornire un quadro costantemente aggiornato dei progetti e dei cantieri in corso.
“Le drammatiche emergenze registrate negli ultimi anni nelle Marche, a Ischia, in Romagna e da ultima l’alluvione in Toscana – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – ci devono far riflettere sul modello di gestione del territorio. Non è solo un problema di risorse economiche, come spesso si vuole far credere, o di mancanze nella manutenzione ordinaria, pratica corretta e condivisibile ovviamente, se inserita in un contesto più ampio. Il problema principale sta nel voler rispondere alla logica della “messa in sicurezza”, che ha visto nel corso dei decenni provare a difendere l’indifendibile, alzando solamente argini e ragionando in maniera idraulica, con calcoli e tempi di ritorno delle piene che la crisi climatica sta spazzando via più velocemente di quanto si pensasse. Un’emergenza, quella climatica, che in alcune aree del Paese, soprattutto nel meridione, aggrava una situazione di preesistente rischio causato da un abusivismo edilizio in aree già pericolose, raramente oggetto di demolizioni e rimasto colpevolmente impunito”.
“Una vera mitigazione del rischio idrogeologico – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – si potrà ottenere solo integrando la restituzione dello spazio ai fiumi (agendo su delocalizzazioni, desigillatura di suoli impermeabilizzati, rinaturazione delle aree alluvionali, azzerando il consumo di suolo e non concedendo nuove edificazioni in aree prossime ai corsi d’acqua) con opere di difesa passiva e di sfogo controllato, come aree o vasche di laminazione, da realizzare laddove necessario e inserendole sempre in una visione generale del problema da risolvere. La ricostruzione delle aree colpite dalle alluvioni, a partire dall’Emilia-Romagna, deve essere l’occasione per ripensare la gestione del territorio, anche con coraggiosi cambi di uso del suolo, considerata l’ingente quantità di risorse pubbliche che saranno utilizzate. Sarebbe miope, infatti, pensare di ricostruire con la filosofia “dov’era, com’era”.