Genova. Sono almeno 210mila in Liguria gli edifici residenziali più energivori che dovranno essere riqualificati per rispettare la direttiva europea sulle case green, attualmente in fase di ridiscussione proprio per venire incontro alle peculiarità dei singoli Stati membri. Nella nuova versione l’Unione Europa fornirà una cornice all’interno della quale ogni Paese dovrà fissare obiettivi graduali per arrivare ad azzerare le emissioni entro il 2050, ma il primo step dovrebbe restare fissato al 2030. Il tempo a disposizione dunque è pochissimo, tenendo conto che le abitazioni in classe G (la peggiore) sono la stragrande maggioranza, in Italia e in particolare nella nostra regione.
Il tema è stato al centro di un incontro sulla riqualificazione energetica nell’ambito della Genova Smart Week. Secondo i dati riportati da Ance, in Italia oltre il 60% delle abitazioni, circa 7 milioni di edifici, è in classe F o G, mentre in Francia sono il 17% e in Germania solo il 6%. Tra questi il 15%, circa 1,8 milioni di immobili, sono particolarmente energivori e per porre rimedio a questa situazione, almeno a quelli peggiori, bisognerebbe fare 180mila interventi l’anno. Basti pensare che nel quadriennio 2020-2023 la media di interventi legati al Superbonus è stata 109.500 interventi all’anno, mentre nel biennio precedente era di solo 2.900.

A Genova e in Liguria la situazione è ancora più critica. Secondo stime diffuse dalla stessa Ance, in questa regione l’83% degli edifici residenziali ricade nella fascia energetica G. Una percentuale che risente non solo dei centri storici, ma anche delle tecniche costruttive del Dopoguerra che escludevano quasi sempre la coibentazione, complice il clima generalmente mite del territorio. Dunque, dati dell’Istat e dei costruttori alla mano, su oltre 263mila edifici a uso residenziale sarebbero circa 218mila quelli lontanissimi dagli standard green cui aspira l’Unione Europea.
A che punto siamo con la riqualificazione energetica? A venirci in soccorso sono i dati del Superbonus, che il Governo sta nuovamente rimodulando coi fondi del Pnrr. Dal 2020 ad oggi in Liguria sono stati coinvolti 6.882 edifici, di cui 1.996 condomini e quasi 5mila case unifamiliari o unità funzionalmente indipendenti (le cosiddette “villette”). Un pacchetto che non arriva a rappresentare nemmeno il 3% del patrimonio più energivoro, senza contare che il 32,6% degli importi finanziati non ha ancora visto la fine dei lavori. L’investimento medio per un condominio in Liguria ammonta a più di 632mila euro per un condominio e 113mila euro per un edificio unifamiliare.

Il punto, ovviamente, sarà capire chi finanzierà una simile mole di investimenti, dato che pochissimi privati potrebbero sostenerli in autonomia. “Si stanno anticipando considerazioni che poi andranno riviste – riflette Riccardo Miselli, presidente dell’Ordine degli architetti di Genova -. Si sta alimentando una discussione per certi versi allarmante su contenuti che sono ancora molto sfumati e di ampia flessibilità. L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, ha un patrimonio edilizio particolarmente eterogeneo dal punto di vista della tecnica costruttiva, della qualità e anche del regime proprietario. E per di più Genova, per il suo palinsesto, in un tessuto molto compresso, trova una convergenza di tecniche costruttive e situazioni molto eterogenee, un territorio piuttosto complesso in cui pensare a qualche tipo di rigenerazione importante e così incisiva”.
La soluzione allora qual è? “La speranza – prosegue Miselli – è che nella traduzione delle norme nazionali e locali si definiscano ambiti in cui sarà sarà più facile fare rigenerazione urbana, quindi ribaltare il punto di vista: non agire sull’efficientamento del singolo edificio a carico del singolo privato con la singola impresa, ma trovare logiche di sistema in cui i quartieri di edilizia popolare, o comunque situazioni in cui è facile fare numero, diventano oggetto di innovazione dal punto di vista sociale, ambientale ed economico nello spirito del New European Bauhaus. Il 2030 è oggi, ma abbiamo una fortuna: per una volta possiamo giocare quasi d’anticipo“.
Il capoluogo ligure si distingue non solo per un patrimonio residenziale mediamente vecchio, ma anche tristemente vuoto e perciò – prevalentemente per questi motivi – di scarso valore. Secondo l’Istat – ma i dati risalgono al 2011 – sono più di 33mila gli alloggi sfitti in città. E, guardando al volume edilizio nel suo complesso, si può facilmente arrivare a stimare che un terzo sia ormai “di troppo”, visto che Genova contava 850mila abitanti a metà degli anni Sessanta e ora viaggia a quota 560mila.
“Genova ha la possibilità di diventare veramente una città laboratorio sull’abitare del futuro – è la proposta lanciata da Miselli -. Abbiamo la convergenza di edifici vuoti in classe A1, di difficile manipolazione, abbiamo il tema del turismo, il tema dell’università, il tema demografico. A Milano l’emergenza è quella dei giovani, degli alloggi per l’università. Da noi abbiamo una situazione più eterogenea di fattori che collidono. Un conto è lavorare in questi ambiti in maniera scissa, un conto è trovare dalla sinergia e dalla messa a sistema di tutte queste possibilità delle opportunità di sviluppo“.