Genova. Se nel corso degli ultimi anni la presenza del lupo in Liguria si è fatta cosa certa, in questi mesi è diventata particolarmente tangibile, con esemplari fotografati e ripresi in diverse occasioni sulle alture della città. Ma il cambio di prospettiva è arrivato soltanto in queste settimane, quando agli esemplari solitari si sono sostituiti piccoli branchi, avvistati in prossimità di abitazioni e ambienti urbani.
Una convivenza, quindi, sempre più stretta che rischia di prendere alla sprovvista – se non lo avesse già fatto – le istituzioni locali, già da tempo alle prese con la complicata e irrisolta gestione degli ungulati in città. A pagarne le conseguenze, però, sono cittadini e residenti, che ogni giorno vivono su quella frontiera, oramai sempre più labile e non presidiata, tra ambiente silvano e ambiente antropico.
“Gli avvistamenti sono quasi quotidiani, e sempre più spesso si verificano anche di giorno, a pochi passi dalle nostre case e dalle nostre proprietà – spiega Marta, che insieme a Christian, titolare della Asd “Dalla Parte del Cavallo”, si occupa di gestire conto terzi animali da cortile e da stalla sulle alture di San Desiderio, in valle Sturla – ogni giorno veniamo a sapere di animali, tra capre e pecore, scomparsi dai greggi dei vari pastori della zona. E non di rado siamo ci siamo trovati a dover scacciare noi in prima persona uno o più lupi, attirati dalla presenza di bestiame”. A testimonianza di ciò Marta ci fornisce un piccolo estratto dei filmati girati in questi ultimi mesi grazie ad alcune foto trappole installate nei pressi della loro proprietà. Le immagini parlano chiaro, e non hanno bisogno di altri commenti. E le foto con i risultati delle predazioni – capre e pecore sventrate e sbranate – ve le risparmiamo.
Una situazione che sta di fatto danneggiando queste piccole economie che “abbiamo costruito faticosamente giorno dopo giorno – spiega Marta – e che oggi rischiano di naufragare dai costi di questa situazione”. Situazione che ad oggi ha un “prezzario” ben preciso: “La normativa prevede che l’ente regionale conceda un rimborso per animali predati da fauna selvatica – spiega – ma per averlo bisogna avere le foto delle carcasse, cosa non sempre possibile, come evidente, visto che semplicemente queste scompaiono e difficilmente di loro si trovano i resti riconducibili al proprio capo smarrito”.
Ma non solo: “Sempre secondo la normativa, una volta recuperata la carcassa, siamo tenuti giustamente a smaltirla secondo le procedure sanitarie del caso, pagando l’incenerimento di tasca nostra – osserva Marta – Il risultato? Il rimborso, che varia tra i 50 e i 100 euro a capo sbranato, viene praticamente tutto assorbito per le spese di smaltimento”. E quindi una perdita per l’impresa, grande o piccola che sia.
Vietato però parlare di emergenza lupi. “Non è più un fatto nuovo, oramai è una nuova normalità di cui dobbiamo prenderne atto. Non dobbiamo fare la guerra al lupo, ma semplicemente mettere le persone in condizioni di tutelarsi“. Per esempio costruendo recinti e difese per i propri animali: “Come previsto in maniera strutturale in altre regioni che da tempo hanno iniziato ad affrontare la situazione in maniera non emergenziale – osserva Marta – Per esempio stiamo valutando la presa in carico di alcuni cani maremmani, gli unici capaci di garantire la protezione dei nostri animali in maniera dissuasiva. Ma per fare ciò, giustamente, servono investimenti, precauzioni, e una cultura diversa. Questa è la vera emergenza”.