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Aree ex Ilva, Mascia: “Acciaio al primo posto, ma dire no ad alternative sarebbe un autogol”

Settimana cruciale per lo stabilimento di Cornigliano. La giunta ribadisce l'apertura a nuovi soggetti, ma i lavoratori chiedono fermezza: "Sulla siderurgia niente spazi di interpretazione"

aree ex ilva cornigliano centrale

Genova. “L’obiettivo primario è garantire che la fabbrica di Cornigliano torni attiva e cresca“. Ma “se arrivano manifestazioni di interesse, dire che quelle aree non le useremo mai per altre finalità è un autogol colossale” nei confronti di ArcelorMittal “che ha il coltello dalla parte del manico”. Così l’assessore allo Sviluppo economico Mario Mascia ha ribadito la linea della giunta Bucci a conclusione della commissione consiliare dedicata all’ex Ilva. Un appuntamento politico che inaugura una settimana cruciale per il futuro dell’azienda, in vista dell’assemblea dei soci del 23 novembre che sarà segnata da uno sciopero a livello nazionale e un presidio a Milano al quale parteciperanno anche i delegati genovesi.

Domani in Consiglio comunale dovrebbe arrivare un ordine del giorno condiviso da tutte le parti politiche con l’intenzione di dare un messaggio chiaro al Governo e al socio privato: Genova considera quelle aree strategiche per lo sviluppo industriale. Ma l’amministrazione non vuole precludersi nessuna strada: “Se mi chiedete acciaio sì o acciaio no io dico acciaio sì: non possiamo rinunciare alla siderurgia, che rappresenta a Genova la storia del lavoro e di molte professionalità – ha puntualizzato Mascia -. Però, quando verrà il piano industriale di Acciaierie d’Italia, se ci sarà la possibilità di avere un tot di metri quadrati per innestare ulteriori attività compatibili con la tutela e la crescita di quei livelli occupazionali, perché no? Il punto è sempre l’accordo di programma, ma come da verbale del collegio di vigilanza del 6 luglio 2023, Ilva prima e Acciaierie d’Italia poi risultano essere sicuramente inadempienti. Il problema è che l’accordo di programma sia rispettato”. Anzi, è la tesi dell’assessore, “se altri soggetti manifestano interesse, da un punto di vista delle pressioni a Roma mi fanno un favore”.

Una linea che non convince l’opposizione, secondo cui è necessario partire da un punto fermo, e cioè che l’utilizzo siderurgico di quelle aree non sarà messo in discussione. Un anno fa un pool di aziende della logistica (Msc Group, Ignazio Messina & C., Number 1 Logistic Group spa e Interglobo) aveva presentato in conferenza stampa a Palazzo Tursi un progetto per la creazione di un hub di 270mila metri quadrati (il totale in concessione è di 1,1 milioni) in grado, secondo le previsioni, di occupare più di 400 lavoratori. “La giunta dica chiaro che quel progetto non si farà”, reclama Simone D’Angelo, capogruppo del Pd. Sulla stessa lunghezza d’onda Cristina Lodi (Azione) e Fabio Ceraudo (M5s), quest’ultimo dipendente di ex Ilva e sindacalista Usb. Ma a ottobre il sindaco Marco Bucci aveva svelato che si era fatto avanti anche il mondo della cantieristica navale. Per quegli spazi sottratti al mare, dotati di banchine, vicini all’autostrada e all’aeroporto, sembra esserci davvero la fila.

D’altro canto i sindacati stessi hanno iniziato a smontare le barricate, aprendo all’idea che l’accordo di programma si possa rivedere nell’ottica di mantenere il reddito e i livello occupazionali. Almeno le segreterie. Perché i delegati di fabbrica rimangono fermi sul punto: “Dopo la chiusura dell’area a caldo c’erano più di 1.500 lavoratori diretti che lavoravano più di un milione di tonnellate tra zincato e latta, con una galassia di aziende in appalto che garantivano introiti miliardari – ricorda Nicola Appice, coordinatore Rsu Fim Cisl -. L’industria siderurgica è in grado di generare una produzione e una ricchezza che nessun altro insediamento potrà mai compensare. Iniziamo a prevedere un utilizzo differente delle aree genovesi? No, il messaggio al governo della politica genovese deve essere condiviso e andare in una sola direzione, senza lasciare spazi di interpretazione“.

“In Europa, negli Stati Uniti e in Canada c’è un piano di transizione ecologica green che vede spostamenti di miliardi e miliardi da parte degli Stati. ArcelorMittal fa parte di questo piano, ma Taranto è esclusa – torna a denunciare Armando Palombo, Rsu Fiom Cgil -. Loro dicono: se volete fare la riconversione dovete metterci dei soldi. Ma guardate che è quello che stanno facendo in tutta Europa. Io sono per l’industria, in Italia ci vuole l’industria, ma per passare dal carbone all’elettrico servono 15 anni. Negli altri Paesi il costo dell’energia elettrica è differente, io sono per il nucleare perché ragiono nell’ottica dell’industria. Noi chiediamo garanzie. Poi siamo disposti a rivedere l’accordo di programma tra un anno, ma nel frattempo Genova deve lavorare”.

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