Genova. Una regione di anziani che attira turisti: è questa la definizione che il Centro Studi e Ricerche Idos utilizza per descrivere la Liguria nel Dossier Statistico Immigrazione 2023, presentato in contemporanea in tutte le regioni italiane giovedì mattina. Un fascicolo da cui emergono conferme – la nostra è la regione con l’età media più elevata d’Italia, 49,5 anni rispetto ai 46,4 di media nazionale, tanto per citarne una – e qualche novità. Come il fatto che la gran parte dei cittadini stranieri residenti in Liguria provenga da un Paese dell’Unione Europea, ovvero la Romania.
Un altro dato molto importante che emerge dallo studio è che se fino a qualche anno fa il flusso migratorio in Liguria era funzionale al contrasto del calo demografico, oggi gli immigrati non sono soltanto necessari, ma indispensabili per rispondere alla crescente domanda del mercato del lavoro. In una regione così anziana, i cittadini stranieri sono fondamentali per sostituire i lavoratori avviati ormai alla pensione, e per coprire buchi che negli ultimi anni in particolare si sono fatti più profondi. Nel 2022 erano 132.000 i lavoratori in più necessari, oltre 32.000 nel comparto turismo, alloggio e ristorazione, carenze che si fanno sentire anche sul fronte della sanità e dell’assistenza agli anziani. Che, come detto, in Liguria sono sempre di più.
A Genova, nello specifico, i residenti stranieri a fine 2022 erano 74.595, un numero sostanzialmente uguale a quello dell’anno precedente (74.665). Nel capoluogo ligure risiede il 50% degli stranieri, che rappresentano il 9,2% della popolazione. I soggiornanti sono invece 66.716, e di questi il 39,6% vi è arrivato per ricongiungimento familiare, il 27,3% per lavoro. I titolari di protezione e i richiedenti asilo sono rispettivamente il 20,1% e il 3,3%.
Se i numeri restano sostanzialmente invariati rispetto agli anni precedenti, è il mondo del lavoro a cambiare. Dopo lo stop dovuto alla pandemia, con una perdita di quasi 5mila posti di lavoro che hanno riguardato solo la popolazione straniera, il 2022 è stato l’anno della ripresa: gli occupati stranieri erano il 10,6% sul totale dei lavoratori, e sono saliti in termini numerici a 65mila tornando quasi ai numeri prima della pandemia, anche se restano ancora una quota consistente dei disoccupati (il 20,4% di tutti i disoccupati sono stranieri, cioè 1 disoccupato su 5), e il tasso di disoccupazione è comunque in discesa e passa dal 19,8% al 12,5%, comunque il dato migliore degli ultimi 6 anni.
Segnali positivi, dunque, che però nascondono difficili processi di mobilità sociale. Anche se aumenta la richiesta di forza lavoro per quello che è il volano dell’economia ligure, ovvero turismo, ristorazione e ricezione, i lavoratori stranieri continuano a essere concentrati nelle professioni manuali a bassa qualificazione: il 21,8% svolte un lavoro manuale non qualificato (a fronte del 7,3% tra gli italiani). Cresce il lavoro manuale qualificato (34,2% anche se rimane piuttosto ampio il divario con la quota degli italiani pari al 18,3%). Più simile la percentuale di impiegati e addetti alle vendite (italiani e stranieri entrambi circa al 36%). Infine, nelle professioni più alte, tecniche e intellettuali permane la polarizzazione inversa con il 38,8% tra gli italiani e 7,8% tra gli stranieri.
Nello specifico dei vari comparti lavorativi, l’edilizia ha segnato una ripresa nel 2002 (circa +2mila occupati) dopo alcuni anni in calo per quanto riguarda il numero di occupati. Il commercio è uno dei settori che ha subito maggiormente gli effetti di chiusura della pandemia (da 7.388 nel 2019 a 3.702 nel 2021), per poi iniziare a riprendersi nel 2022 (5.528, circa 1.800 occupati in più) ma senza tornare a livelli pre- pandemici.
«Se guardiamo in ottica di lungo periodo, vediamo processi di radicamento e stabilizzazione che si sono consolidati nel tempo, e un rallentamento dei flussi in termini numerici rispetto ad anni Novanta o nel primo decennio degli anni 2000 – spiega Deborah Erminio, sociologa del Centro Studi Medì che ha collaborato alla redazione del Dossier – Il tema suscita ancora molto clamore, si parla di migrazione in termini emergenziali e siamo bloccati in questa narrazione della immigrazione ancora come invasione. Non si riesce a cogliere i processi di stabilizzazione e i benefici dell’immigrazione, soprattutto in Liguria, dove abbiamo una popolazione che invecchia per lunghi anni con ripercussioni sul mondo del lavoro e del welfare”.
“A livello lavorativo – prosegue Erminio – c’è una maggiore concentrazione di immigrati nei profili medio bassi. È vero che abbiamo assistito a un miglioramento negli anni in questo senso, ma molto lento. Parlavamo di immigrazione interstiziale 40 anni fa, è un termine che non si usa più e che indica il fenomeno per cui gli immigrati si accollano il lavoro ‘povero’, eppure non è cambiato molto. Forse su questo varrebbe la pena riflettere, anche perché sempre più settori del mercato stanno chiedendo manodopera in aggiunta. L’invecchiamento della popolazione riduce il bacino di manodopera, e ci sono sempre meno giovani che entrano in determinati settori del mondo del lavoro: c’è una domanda di rimpiazzo di lavoratori che popolazione autoctona non riesce più a compensare a causa dei trend demografici”.