Genova. Per l’ora e quarantacinque del primo atto sembra davvero di vivere in un sogno. L’atmosfera creata dal regista Laurence Dale, con l’ausilio delle scene e dei costumi favolosi di Gary McCann calza alla perfezione sull’impianto musicale che Benjamin Britten ha ideato per la propria interpretazione di A Midsummer night’s dream su libretto dello stesso Britten e Peter Pears dalla commedia di William Shakespeare.
Il debutto di stagione al Teatro Carlo Felice, nuovo allestimento della stessa Fondazione in collaborazione della Royal Opera House di Muscat (Oman), dove lo spettacolo sarà in cartellone nel 2024, è stato salutato da un pubblico delle grandi occasioni con applausi calorosi per tutti, dal numeroso cast a regista e costumisti e soprattutto per il maestro Donato Renzetti, che ha esaltato una partitura complessa di non facile orecchiabilità al primo ascolto, come invece accade per i titoli di repertorio, ma calzante per rendere onirico non solo l’aspetto visivo, ma anche sonoro dell’opera. Un equilibrio tra buca e palco impeccabile.
Scritta nel 1960 dopo Il giro di vite, A Midsummer Night’s Dream si sviluppa su tre filoni che a poco a poco si intrecciano: Oberon, il re delle fate, è geloso di Tytania dopo che essa non vuole cedergli un paggio, allora istiga il folletto Puck a cercare un fiore d’amore per vendetta. Nel frattempo due coppie di amanti ateniesi si aggirano nel bosco: Hermia e Lysander si amano, ma il padre di lei impedisce il matrimonio e i due sono in fuga, mentre Helena insegue l’amato Demetrius che è invece invaghito della stessa Hermia e lui la respinge. Alla scena assiste Oberon che ordina a Puck a spremere il succo del fiore sugli occhi della coppia di ateniesi, mentre lui si occuperà di Tytania: chi subisce l’incantesimo si innamorerà della prima creatura che vedrà al risveglio.
Nel bosco si aggirano anche alcuni artigiani, che stanno organizzando una recita per festeggiare le nozze del duca Theseus e Puck ne approfitta: uno di loro viene trasformato in un asino e sarà proprio lui a far innamorare Tytania, mentre l’altro fiore viene erroneamente spruzzato sugli occhi di Lysander che al risveglio vedrà Helena come prima persona. Tra equivoci e drammi, Oberon e Puck metteranno fine all’incantesimo facendo addormentare tutti e riportando le cose alla normalità. Le coppie di ateniesi assistono così insieme a Theseus e Hippolyta allo spettacolo degli artigiani.
La partitura, affidata a un’orchestra a ranghi ridotti archi, sei legni, quattro ottoni, due arpe, clavicembalo, celesta e percussioni, caratterizza i tre filoni narrativi a livello musicale con la parte più eterea affidata al regno delle fate, con l’ottima prova del coro delle voci bianche del teatro diretto da Gino Tanasini. Alcune parti sembrano essere state scritte per questo tipo di regia e accompagnano gesti e movenze dei cantanti.
La scenografia è incorniciata da un rettangolo luminoso e cangiante dietro cui si muovono i tronchi degli alberi, con il bosco stesso che vive durante la nottata e muta grazie anche alle proiezioni video del designer Leandro Summer. Le luci di John Bishop esaltano la dimensione onirica e illuminano quando è il momento della festa. I costumi, elisabettiani, ma reinterpretati secondo l’ispirazione di Vivienne Westwood e Alexander McQueen sono un altro punto di forza di questo allestimento, con il trucco parte integrante della messa in scena.
Dal punto di vista vocale nulla da dire, che è tutto dire: l’opera ha in Oberon, un controtenore, il protagonista e Christopher Ainslie ha dato corpo e soprattutto anima a questo ruolo senza sbavature. Voce agile senza cali per soprano Sydney Mancasola (Tytania), bene anche i quattro amanti (Peter Kirk, John Chest, Hagar Sharvit e Keri Fuge). Delicatissime Michela Gorini, Sofia Macciò, Lucilla Romano ed Eliana Uscidda, le fate soliste del coro delle voci bianche. Gran personalità sul palco per il Puck di Matteo Anselmi con una pronuncia inglese da perfezionare. Il Bottom, l’artigiano-asino, di David Shipley è la punta di diamante di un gruppo di rara simpatia con una comicità anche mimica. Un voto in più a tutti per l’abilità con cui sono riusciti a muoversi nello scosceso prato del sottobosco che completava la scenografia.
Qualche dubbio su alcune scelte di traduzione dall’inglese nei sovratitoli con la parola puppet, che solitamente ha il significato di fantoccio, burattino, tradotta in pupattola.