Genova. Il più tristemente noto è forse il triperossido di acetone detto anche ‘Madre di Satana’, l’esplosivo preferito dall’Isis e utilizzato per esempio negli attentati terroristici di matrice islamica di Parigi (2015) Bruxelles (2016) e Manchester (2017) e che si ottiene, semplificando al massimo, facendo reagire l’acqua ossigenata sull’acetone. Ma ce ne sono moltissimi altri, realizzati combinando zucchero, concimi o altri prodotti di uso comune, reperibili da chiunque ma in grado di produrre effetti altamente devastanti.
Sono i cosiddetti ordigni ‘homemade’, pericolosi da maneggiare perché altamente instabili e che per essere disinnescati o “neutralizzati” come si dice in gergo tecnico, richiedono procedure complesse. Solo per citare un altro esempio anche il sovranista norvegese Anders Breivik, l’autore della strage i Utoya, nel 2011 fece esplodere qualche ora prima a Oslo un’autobomba, che provocò 8 vittime, con prodotti comprati liberamente in rete.
Il protocollo antisabotaggio previsto dalla Nato e a cui aderiscono 29 Paesi tra cui l’Italia prevede precise tecniche di intervento per disinnescare e mettere in sicurezza la popolazione civile in presenza di ordigni, che possono essere di tipologie molto diverse: ci sono infatti quelli tradizionali come i residuati bellici, ci sono i cosidetti IED (Improvised Explosive Devices) come per esempio uno zaino riempito di tritolo con un innesco rudimentale, e infine gli ordigni ‘home made’, creati facendo reagire sostanze di libera vendita. Le tecniche antisabotaggio sono definite in dettaglio e per ogni tipologia individuano la tecnica: dall’utilizzo di robot meccanici ai cannoni d’acqua, dalle radiografie a complessi sistemi meccanici per il disinnesco da parte dell’operatore.
Per incrementare la sicurezza degli specialisti che intervengono sul campo nonché quella della popolazione ci sarebbero tecniche aggiuntive per rendere rapidamente innocue queste “bombe” fatte in casa, grazie all’ausilio della chimica. A studiare da almeno un anno questi procedimenti per ‘neutralizzare’ (azzerandone la pericolosità) o ‘flemmatizzare’ (riducendo il rischio del trasporto ma consentendo così le analisi e le indagini successive) gli ordigni improvvisati è Federico Canfarini che, laureato in chimica industriale all’Università di Genova, sta collaborando con il dipartimento dell’ateneo genovese per studiare e realizzare sostanze chimiche in grado assolvere questo compito.
“In questo anno ho realizzato diverse sostanze a base di perossidi che possono rendere neutro un ordigno homemade rendendolo trasportabile in sicurezza, con una riduzione dei rischi per gli interventi ma anche dei disagi per la popolazione civile che spesso deve essere sgomberata per molte ore in attesa di attivare le procedure standard”.
Canfarini di tecniche e procedure per la rimozione e la messa in sicurezza degli ordigni è, quantomeno in Liguria, il massimo esperto visto che, oltre a studiarli come ricercatore, è anche ispettore capo di polizia al comando del nucleo artificieri della Liguria. Gli studi che sta portando avanti fra l’altro riguardano, oltre agli ‘homemade’, anche gli ordigni convenzionali, come i residuati bellici, la cui messa in sicurezza anche a Genova è all’ordine del giorno e ha creato spesso non pochi disagi, come blocchi della viabilità e/o della circolazione ferroviaria. “I residuati bellici, secondo il protocollo Nato possono essere rimossi solo dall’esercito e come è accaduto anche di recente con le bombe al fosforo ritrovate nel cantiere del Waterfront e in quello ferroviario a Brignole, possono essere necessarie anche molte ore per l’arrivo dei Guastatori da Fossano in Piemonte”.
Anche in questo caso, una soluzione di messa in sicurezza efficace, in attesa della rimozione, ci sarebbe: “Nel caso delle bombe al fosforo – spiega – si potrebbero utilizzare alcuni acidi in grado di neutralizzare il fosforo. E non si tratta di un pericolo per l’ambiente in quanto si crea una piccola nube di anidride solforosa ma è sufficiente creare un’area di sicurezza l’intervento è molto rapido”.
Le procedure chimiche di “inertizzazione” o “flemmatizzazione” possono risultare utili anche in altre situazioni. “A Genova per esempio nel settembre 2018 venne scoperto e posto sotto sequestro un container proveniente dalla Cina pieno di sostanze altamente esplodenti, che erano destinate a un’azienda lombarde ma erano stipate in modo pericoloso con un concreto pericolo di provocare una vasta esplosione” spiega ancora Canfarini. In quel caso nello specifico si trattava di una tonnellata di tetrabutilammonio floruro triidrato miscelato in Thf – sostanza altamente infiammabile e corrosiva – collocata a diretto contatto con sei tonnellate contenute in 265 fusti di Tetrazol-1 Acetic Acid, una sostanza esplosiva detonante di discreta instabilità. Il ritrovamento e il successivo sequestro del container ebbero come conseguenza l’interdizione della navigazione nella zona del porto dove era stato collocato il container che, dopo le laboriose e complesse operazioni di messa in sicurezza era stato rispedito al mittente. “Anche in quel caso gli studi che sto portando avanti avrebbero potuto rendere innocue le sostanze in breve tempo” conclude Canfarini.
E’ evidente che gli studi fin qui condotti necessiteranno di ulteriori approfondimenti nonché di passaggi istituzionali complessi e che richiederanno tempo, ma “la prospettiva è quella di poter agire più rapidamente grazie alla chimica con minor rischio sia per la popolazione sia per gli operatori che intervengono”.