Convalidato il fermo

Mahmoud attirato in una trappola e ucciso: le armi comprate poco prima dell’omicidio

Convalidato il fermo dei due uomini accusati del delitto, che davanti al gip hanno fatto scena muta. Si ipotizza la premeditazione

barberia sestri aly titos

Genova. Un coltello da cucina e una mannaia. Potrebbero essere queste le armi utilizzare per uccidere Mahmoud Sayed Abdalla, il diciottenne egiziano il cui cadavere privo di testa e mani è stato trovato al largo di Santa Margherita lo scorso 23 luglio.

Lo dicono le ferite trovate sul suo corpo – tre colpi, uno al cuore, uno allo stomaco e uno al fegato – e le mutilazioni, e sembrano dimostrarlo le immagini delle videocamere di sorveglianza cittadine installate nei dintorni di via Sestri, dove ha sede un negozio gestito da cittadini cinesi che vende anche articoli per la casa. È proprio nei pressi del negozio, infatti, che sono stati immortalati, intorno alle 14 del pomeriggio del 23 luglio, Mohamed Ali Abdelghani Ali, detto “Bob”, e Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, detto “Tito”, fermati con l’accusa di omicidio aggravato in concorso e soppressione di cadavere.

I due mercoledì mattina si sono presentati davanti al gip per l’interrogatorio di convalida, al termine del quale è stato confermato il fermo ed è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Davanti agli inquirenti entrambi hanno fatto scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Entrambi hanno contemplato la nuova prova presentata dalla pm Daniela Pischetola, ovvero le immagini estrapolate dai carabinieri del nucleo investigativo di Genova e della compagnia di Chiavari, che dimostrano come poco prima delle 14 di domenica 23 luglio Tito e Bob siano passati in via Sestri con un sacchetto bianco in mano, vuoto, e pochi minuti dopo vi siano ripassati, questa volta con il sacchetto contenente oggetti che, stando alle sagome, appaiono come un coltello e una mannaia. Nello stesso arco di tempo, il registratore di cassa del negozio ne registrava la vendita.

Il cerchio sembra insomma stringersi intorno ai due cittadini egiziani accusati del feroce delitto di Mahmoud. La tesi degli investigatori è orientata su un delitto premeditato: il ragazzo aveva detto di voler lasciare l’impiego nella barberia di via Merano, “Aly’s Barber Shop”, si lamentava della paga bassa e delle tante ore trascorse nel negozio, voleva andare a lavorare per la concorrenza. E Tito, uno dei due gestori del salone, e Bob, fratello del titolare (attualmente in Egitto, dove è arrivato il 26 giugno), lo avrebbero attirato nell’appartamento di via Vado usato dai dipendenti come dormitorio, forse con la scusa di consegnargli il denaro che gli spettava, e qui lo avrebbero ucciso. Non d’impulso, non al culmine di una lite, ma con intenzione. Quella, forse, di metterlo a tacere, magari per evitare che quel ragazzo appena diciottenne denunciasse la sua situazione lavorativa.

Gli spostamenti dei tre protagonisti di questa atroce storia sono documentati praticamente passo passo, complici le telecamere di sorveglianza cittadine e i tabulati telefonici. Mahmoud domenica mattina da Pegli, dove ha trascorso la notte (dormendo a casa del futuro nuovo datore di lavoro), si è spostato a Sestri Ponente: viene visto per l’ultima volta pochi minuti prima delle 15 in piazza Poch, diretto in via Merano, e si suppone che da lì sia andato in via Vado. Alle 14 Tito e Bob sono in via Sestri, nei pressi del negozio cinese, e poi anche loro si spostano verso via Vado. Il delitto, prosegue la ricostruzione, si consuma tra le 15 e le 18 nell’appartamento,  da cui il corpo senza vita del ragazzo esce chiuso in una valigia che verrà poi caricata su un taxi e portata a Chiavari. È su una spiaggia di Chiavari, alla foce dell’Entella, che al cadavere vengono tagliate testa e mani prima di essere gettato in mare insieme con i resti. Le mani vengono riportate a riva dalla corrente, il corpo di fronte al porto di Santa Margherita Ligure, della testa invece ancora non è stata trovata traccia.

Ciò che va ancora chiarito è chi esattamente abbia fatto cosa, e l’esatto movente. I due fermati si lanciano accuse a vicenda: Bob sostiene di non avere fatto nulla a Mahmoud, di avere assistito impotente all’omicidio compiuto da Tito al culmine di una lite e di avere accettato di aiutare il collega a liberarsi del cadavere sotto minaccia di morte. Tito, dal canto suo, sostiene di non avere intenzionalmente ucciso Mahmoud, ma di essersi difeso dall’aggressione del ragazzo. Sostiene anche di non avere avuto alcun coltello (attribuendone dunque la proprietà al ragazzo), e che Mahmoud si sarebbe ferito mortalmente durante la lotta, cadendo sulla lama. Nessuno dei due ammette di avere mutilato il cadavere. 

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