Genova. L’invasione dei cinghiali in città? Dipende “al 100%” dalla disponibilità di cibo, quello fornito involontariamente attraverso i rifiuti e quello lasciato dalle persone al preciso scopo di nutrirli. Ne è convinto Andrea Marsan, zoologo e docente dell’Università di Genova, che di recente è stato ascoltato come esperto in Comune e in Municipio Bassa Valbisagno sul tema dell’emergenza ungulati che ha superato ormai il livello di guardia. Un’emergenza che, secondo lo scienziato genovese, non si risolve con abbattimenti massicci ma solo interrompendo un comportamento “irresponsabile, che condanna a morte questi animali”. Non a caso negli ultimi giorni è partita una campagna informativa sulle paline elettroniche alle fermate dei bus.
Marsan, il foraggiamento dei cinghiali a Genova è punito con sanzioni fino a 500 euro e ha rilievo penale secondo una legge del 2015, eppure avviene quotidianamente. Quanto incide questo fattore sulla loro presenza in ambito urbano?
“Incide al 100%. Se a un animale selvatico offriamo cibo tutti i giorni, qualsiasi intervento diventa inutile. I cinghiali sono nel Bisagno perché la gente gli butta da mangiare. L’offerta di cibo è determinante. A volte può avvenire involontariamente perché qualcuno lascia la spazzatura fuori dai bidoni o perché il meccanismo di raccolta non è abbastanza efficiente. Ma non c’è una difficoltà tecnica, anzi, l’utilizzo corretto dei nuovi cassonetti impedisce ai cinghiali di avvicinarsi al cibo”.
Come si può intervenire?
“Ci sono diverse fasi. La prima è l’informazione: si organizza una riunione in tutti i Municipi per spiegare alla gente quali sono rischi e far capire che, se vogliono bene ai cinghiali, non devono dar loro da mangiare perché così li condannano a morte. Per me gli animali selvatici devono essere selvatici, devono avere un po’ timore di noi come noi dobbiamo averlo di loro, non devono essere animali che ci mangiano in mano. Se si abituano a questa comodità diventano inadatti alla vita selvatica. Quando non si riesce a impedire questo con l’informazione diventa necessaria la repressione“.
Potrebbe non essere facile trovare i responsabili.
“Mi creda, chi dà da mangiare ai cinghiali lo fa regolarmente e alla luce del sole. Se guido col cellulare mi danno 140 euro di multa e mi tolgono cinque punti dalla patente, se lo rifaccio la patente me la ritirano. Deve funzionare allo stesso modo. C’è gente che non sente la responsabilità morale di un ragazzo in moto che va a schiantarsi per colpa di un cinghiale in mezzo alla strada. Penso che vada favorita anche la delazione: chiunque deve denunciare. In via Ravenna, dove abito io, c’era una signora che dava le crocchette ai gatti ma poi non ripuliva. Abbiamo chiamato i vigili, le hanno fatto capire che era un comportamento scorretto. A volte avviene in maniera inconsapevole, ma molto più spesso i cinghiali vengono nutriti volontariamente”.
Nel frattempo però i cinghiali si sono abituati alla città e costituiscono un pericolo. A questo punto è inevitabile abbatterli?
“Questo è uno sforzo muscolare che facciamo perché la legge impedisce di rilasciare i cinghiali nei boschi una volta catturati: dopo due giorni andrebbero a cercarsi un paesino per bullizzare qualcuno che porta le borse della spesa. A volte qualcuno pensa che le guardie regionali si divertano a sopprimerli, ma quando si trova un cinghiale all’interno dell’ospedale San Martino cosa si dovrebbe fare? D’altra parte gli abbattimenti massicci non risolvono nulla. Intanto perché i cinghiali presenti in città sono poche centinaia e tengono solo il posto occupato, mentre nei boschi ce ne sono migliaia. Anche se eliminassimo gli esemplari più confidenti, questi verrebbero subito sostituiti. E poi la forza rigenerativa della natura è altissima. Questa specie ha una caratteristica vincente, quella di potersi riprodurre con velocità esplosive come quelle dei roditori”
Quindi è sufficiente smettere di fornirgli cibo, direttamente o indirettamente?
“Assolutamente sì. I cinghiali non vengono in città per cercare compagnia, ma per cercare cibo. Se non ne trovano più tornano nei boschi e subiscono una mortalità naturale, diventando a loro volta fonte di vita per altre specie. Il problema si risolve in pochissimo tempo, non serve aspettare diverse generazioni”
Da anni si parla anche di recinzioni per impedire ai cinghiali di avvicinarsi ai centri abitati. Può essere una soluzione?
“Genova è una città particolare perché tra il centro e i boschi non ha una periferia agricola o industriale. Noi abbiamo i boschi in continuità con l’Appennino e un metro più in là i condomini e i cassonetti. Ci sono zone in cui sarebbe opportuno installare recinzioni: lo hanno fatto a Pegli 2 su mio suggerimento e le possibilità di contatto si sono notevolmente ridotte, con costi molto più bassi rispetto ai danni incalcolabili di un incidente stradale con una vittima. Un altro esempio? Via Bartolomeo Bianco va da Oregina a Sampierdarena, con pochi chilometri di rete elettrosaldata si risolverebbero molti problemi. Riomaggiore e Manarola sono protetti da 7 chilometri di recinzioni”.
Altri propongono invece campagne di sterilizzazione come alternativa agli abbattimenti. È un’idea ragionevole?
“No, non lo è. E se qualcuno mira a ridurre il numero dei cinghiali pensando che, se ne avremo pochi nei boschi, non si avvicineranno alla città, si sta sbagliando. Si tratta di vaccini che non possono essere somministrati oralmente, servirebbe catturare tutte le femmine per ottenere un effetto. Le esche nelle mangiatoie? Sarebbe meno fantasioso pensare di portarli tutti sulla luna. E poi, glielo dico da biologo, un animale sterilizzato per me equivale a un animale morto, perché l’essenza di un animale selvatico è la capacità di riprodursi.