Genova. La Procura di Genova al termine della deposizione in aula del superdirigente in pensione di Aspi Giampiero Giacardi, ha chiesto e ottenuto dal tribunale la trasmissione atti al suo ufficio delle dichiarazioni (andate avanti per ben quattro udienze) rese dall’ex direttore delle risorse umane, incarico che ha ricoperto per 20 anni., che rischia di essere indagato per falsa testimonianza nel processo in corso per il crollo del ponte Morandi.
In quando figura apicale nell’organigramma aziendale di Autostrade per l’Italia, a Giacardi i pm hanno chiesto un po’ di tutto dall’organizzazione societaria ai premi ai dirigenti in funzione degli obiettivi fissati, dalla scelta aziendale di non considerare la rete autostradale come luogo di lavoro alla gestione di assunzioni e licenziamenti.
E in molti casi le risposte non hanno convinto i titolari dell’inchiesta. Particolare tensione nella giornata di ieri hanno suscitato in aula le domande sui cosiddetti ‘MBO’ ( Management by Objectives), il sistema premiale utilizzato da Aspi e gestito dallo stesso Giacardi che prevede che una parte dei compensi ai manager sia “variabile a seconda degli obiettivi raggiunti, un sistema utilizzato da moltissime grandi aziende” ha sottolineato il teste, come Fiat, Eni, Enel e uno dei gruppi ‘concorrenti’ nella gestione delle autostrade come il gruppo Gavio.
Il sostituto procuratore Marco Airoldi ha mostrato al teste una quindicina di questi ‘MBO’ dove di base quello che è emerso e su cui la Procura in aula ha cercato, con molte difficoltà, di ottenere una conferma dal teste è che i premi aumentavano se i costi di gestione, compresi quelli della manutenzione, si mantenevano sotto la soglia fissata. Ma proprio questa analisi dei dati ha provocato diversi ‘battibecchi’ direttamente tra il pm e il teste con toni a volte quasi sprezzanti di quest’ultimo. E anche nei confronti delle richieste di chiarimento da parte del collegio il superdirigente oggi in pensione è apparso talvolta poco incline a chiarire le questioni, non rispondendo compiutamente alle domande salvo poi chiedere di poter precisare questioni, quasi fosse stato un imputato che rilascia ‘spontanee dichiarazioni’ come ha fatto notare più volte il pm Walter Cotugno. Sulla questione budget e premi Giacardi ha ripetuto che “la riduzione dei costi non è mai stata indicata come obiettivo” e “che nel sistema retributivo bisognava prendere in considerazione più voci frutto di una programmazione pluriennale”.
Anche le risposte rispetto alle deleghe aziendali e di conseguenza alle responsabilità su monitoraggio e sorveglianza avrebbero non convinto la procura: il teste di fatto ha posto quasi sempre l’accento sulle responsabilità del direttore di tronco quasi a voler ‘scagionare’ il livello centrale.
Questa mattina, inoltre, diverse domande sono tornate sulla scelta di non considerare la rete autostradale come luogo di lavoro (qui l’articolo di Genova24 sulla questione dopo l’udienza di ieri). Sul punto lo stesso presidente del collegio Paolo Lepri ha rivolto al teste diverse domande in particolare ha chiesto: “Vi siete posti il problema di essere concessionari che devono rispettare la circolare del 1967 in cui si parla di ‘personale addetto alla manutenzione e di quello in genere in servizio quotidiano lungo le strade ed autostrade e loro pertinenze‘?. La risposta del teste è stata di “non ricordare la circolare”, che tuttavia rappresenta il principale impianto normativo per le concessioni autostradali.
Circa il confronto che nel 2001 Giacardi ha detto di aver avuto con “alcuni avvocati esterni all’azienda”, oggi c’è stato un piccolo giallo. Quando i pm gli hanno chiesto nuovamente quali fossero i legali con cui si era confrontato per definire le autostrade non un luogo di lavoro il teste ha risposto, ad un certo punto anche un po’ piccato, che non ricordava i nomi visto che erano passati vent’anni, poi ne ha ricordato uno e non ha saputo dire che quei pareri legali sono diventati documenti scritti. Al termine di una delle pause dell’udienza il teste ha fatto una delle sue ‘dichiarazioni spontanee’ elencando i nominati dei legali con cui aveva parlato vent’anni prima. Il pm a quel punto ha chiesto: “Ma lo ha chiesto a qualcuno?”. E lui ha risposto: “No, ho fatto mente locale”. Allo stato non è chiaro su quali e quanti specifici elementi i pm vogliano valutare il reato di falsa testimonianza né se Giacardi sarà ufficialmente indagato ma non è escluso che i pm abbiamo in mano elementi che non sono emersi pubblicamente in aula.
Quel che è certo è che dei quasi 150 testi portati in aula dalla Procura di Genova il super manager in pensione è il primo teste per cui i pubblici ministeri chiedono la trasmissione atti per falsa testimonianza.
In un solo altro caso, la richiesta era stata fatta dalla procura, ma in quel caso il reato ipotizzato è quello di falso ideologico. A rischiare guai, anche se allo stato non è ancora chiaro che il testimone sia stato iscritto nel registro degli indagati. è Andrea Pancani, ingegnere a lungo responsabile della sorveglianza di Spea in Toscana. Pancani, quando era stato sentito dalla guardia di Finanza, aveva raccontato che sul IV tronco gli ispettori di Spea a differenza di quanto succedeva a Genova facevano controlli accurati trimestrali verificando tutte le parti delle strutture compresi i cassoni. In aula però, incalzato dalle domande dei difensori degli imputati, aveva invece ammesso che anche nel tronco di cui era responsabile non si andava a verificare tutto da vicino ogni tre mesi per mancanza di mezzi e condizioni di accesso in sicurezza. Quindi di fatto anche lui avrebbe compilato report quantomeno imprecisi e del tutto simili a quelli che la procura di Genova contesta agli imputati ‘genovesi’ di Spea come falsi. La Procura di Genova dopo aver ottenuto gli atti delle udienze come disposto dal tribunale, li ha inviati ai colleghi di Firenze e sono loro a dover valutare l’iscrizione nel registro degli indagati.