Il processo

Ponte Morandi, bypassato l’organismo che doveva verificare il retrofitting: “Ho saputo dell’esistenza del progetto solo dopo il crollo”

In aula anche le foto impressionanti sulle condizioni del ponte che non vennero mai inviate al Ministero. La teste Iuliano: "Non sapevo fossero state tolte"

foto soppresse ponte morandi

Genova. “Sarebbe stato compito del mio ufficio effettuare la verifica in base alla legge sul codice degli appalti, del progetto di retrofitting ma io di quel progetto non conoscevo nemmeno l’esistenza fino al giorno del crollo”. E’ in estrema sintesi quello che ha detto oggi in aula Riccardo Marasca, che dal 2012 al 2018 era responsabile dell’Odi, un organismo di ispezione interno ad Aspi ma indipendente e accreditato da Accredia deputato gli accertamenti, in base all’articolo 26 del codice degli appalti, dei progetti del valore economico superiore ai 20 milioni di euro.

L’Odi, coordinata da Marasca, aveva tre dipendenti ma per eseguire le verifiche, che precedevano la validazione del progetto dal parte del RUP (responsabile unico del procedimento), utilizzavano anche personale interno di Aspi che doveva dichiarare di non avere incompatibilità nel secondo che un ispettore di una certa struttura non poteva verificare un progetto che aveva contribuito a scrivere. Le verifiche, come prevede la legge devono essere globali, cioè analizzare il progetto in tutte le sue parti.

Ebbene, il progetto di retrofitting del ponte Morandi, secondo quanto confermato da Marasca in aula, è stato verificato (e validato dal Rup) bypassando l’organismo che avrebbe avuto per legge quel compito, cioè l’Odi.

A fare la verifica è stato Claudio Bandini. Bandini responsabile dell’ufficio Verifica Progettazione dal 4.2.2013 al 27.11.2016 e poi responsabile dell’ufficio Service Tecnico-progettuale dal 28.11.2016 al crollo, struttura direttamente alle dipendenze della Direzione Maintenance e Investimenti Esercizio, ai cui vertici sedeva Michele Donferri. In pratica Bandini era un esperto in progetti di manutenzione ma si doveva

Bandini era anche collaboratore dell’Odi ma non avrebbe certamente potuto fare quella verifica senza informare l’organismo deputato e il cui responsabile, Marasca appunto, doveva firmare ogni verifica effettuata. E invece così non è stato.

Non solo, la verifica di Bandini, oltre che non rispettosa della procedura di legge, è stata ‘parziale’ in quanto le osservazioni fatte al progetto che sarà verificato e poi validato molto in fretta non contenevano nulla che riguardasse l’elemento principe di tutto il progetto di retrofitting, vale a dire il rinforzo degli stralli delle pile 9 e 10. Questo perché – è la tesi della procura ma questo aspetto dovrà essere confermato in seguito visto che il teste di oggi quel progetto di retrofitting non lo aveva mai visto – effettuare la verifica sulla parte che riguardava gli stralli avrebbe voluto dire validare oppure bocciare un progetto che parlava di un ammaloramento delle pile intorno al 10-20% sulla base delle prove riflettometriche.

Marasca ha raccontato di aver avuto certezza che il suo organismo era stato escluso da quella verifica qualche giorno il crollo, quando “il 17 agosto mi era arrivata una mail da Gianluca Quarano di Acredia che mi chiedeva del progetto di retrofitting. Io ho girato la mail a Bandini perché sapevo che lui si occupava di manutenzione. Il lunedì successivo in ufficio ho verificato con i miei collaboratori e ho avuto certezza che all’Odi quel progetto non era mai arrivato. Poi ho scoperto che lo aveva fatto Bandini. Ne ho parlato anche con Doferri, il 21 agosto quando lo ho incontrato ma lui mi ha detto solo ‘Riferisciti alla sua linea’. Così ho avvisato Mario Bergamo e Roberto Tomasi, che erano i miei superiori”.

In aula oggi sono anche state mostrate alle teste Barbara Iuliano, a lungo dipendente di Spea all’ufficio progettazione e oggi dipendente di Tecne, le foto che lei stessa aveva allegato alla fine del 2017 al progetto di retrofitting a cui aveva collaborato con alcuni elaborati tra cui il cronoprogramma dei cantieri: “Quelle foto me le aveva inviate Marco Trimboli dell’Utsa di Genova” ha spiegato Iuliano. Si tratta di foto che mostrano parecchi punti pesantemente ammalorati del ponte e che riguardano l’impalcato ma anche gli stralli: ruggine, calcestruzzo ammalorato, distacchi. A queste foto il pm Terrile nella memoria depositata all’inizio del processo ha dedicato un intero capitolo. Queste foto, nel progetto inviato al Mit non sono mai arrivate e furono poi sequestrate dai finanzieri in uno dei pc degli imputati negli uffici di Spea nel corso delle indagini.

Io non sapevo che quelle foto fossero state tolte – ha spiegato in aula la teste – certo poteva succedere che alcuni allegati venissero tolti da un progetto ma di solito la questione veniva discussa in riunione o comunque comunicata”. Può anche essere “che fossero foto che dovevano restare nel colloqui di interfaccia tra Spea e Aspi e che elaborari del genere non dovessero di norma andare al Mit”. Fatto sta che si tratta dell’unico caso “in cui non ho saputo che alcuni elaborati erano stati tolti dal progetto, l’ho scoperto sono quando sono stata interrogata dal pm in fase di indagini”.

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