Il processo

Ponte Morandi, il dirigente del Cesi: “Il giorno dopo il crollo Donferri ci accusò di aver suggerito maggiori controlli perché volevamo un nuovo appalto”

E Castellucci il 15 agosto chiede al dirigente dell'istituto: "Ma poi abbiamo seguito le vostre indicazioni sul monitoraggio della struttura? E perché non lo abbiamo fatto?"

Crollato ponte Morandi a Genova

Genova. Indagini a cadenza “almeno annuale” e non biennale sugli stralli delle pile del Morandi, l’installazione di un sistema dinamico permanente per il monitoraggio degli stralli e verifiche approfondite specifiche sul comportamento ‘asimmetrico’ di due stralli della pila 10, visto che uno strallo vibrava in modo più elastico, l’altro in maniera più rigida. Sono i tre suggerimenti che l’istituto Cesi (istituto ingegneristico di monitoraggio, quasi una ‘in house’ di Enel e Terna) diede nel 2016 ad Autostrade per l’Italia nel rapporto conclusivo del contratto che la società di consulenza aveva stipulato con Aspi. Lo ha spiegato in aula Domenico Andreis, all’epoca direttore divisione ingegneria e ambiente (Ispes) di Cesi.

In particolare il sistema di monitoraggio, ha spiegato Andreis alla domanda del pm “sarebbe costato circa 200 mila euro più la manutenzione annuale e il sistema si sarebbe potuto installare in tre mesi”.

E invece nulla. Il Cesi, che il contratto lo aveva ricevuto tramite l’allora responsabile delle manutenzioni Bergamo, con l’arrivo di Michele Donferri di fatto consegna il suo rapporto e viene sostituito dal Politecnico di Milano, incaricato di una nuova consulenza.

Ma se le indicazioni del Cesi vengono ignorate per due anni, improvvisamente, quei documenti acquisiscono fondamentale importanza dal pomeriggio del 14 agosto 2018, giorno in cui il Morandi venne giù causando la morte di 43 persone.

Il giorno dopo il Cesi viene convocato a Genova direttamente da Govanni Castellucci (“Lo conoscevo dai tempi in cui lavoravo al Rina – ha spiegato Andreis – e lui non era ancora amministratore delegato). Al Cesi Castellucci chiede “Ma la mia struttura ha seguito le indicazioni che ci avevate dato?”. E la risposta di Andrei fu: “Credo proprio di no”. A quell’incontro ristretto era seguito sempre il 15 agosto una riunione sempre nella sede di Autostrade all’ingresso di Genova Ovest a cui hanno partecipato diverse figure apicali di Aspi tra cui Donferri Mitelli: “Io e Donferri litigammo – ha raccontato Andreis – perché lui ci aveva accusato di aver scritto una relazione contenente indicazioni che andavano oltre il ruolo assegnato, visto che contenevamo suggerimenti migliorativi. Io risposi che avevamo fatto quanto previsto dal contratto. Lui mi accusò allora di aver inserito quei consigli per avere un nuovo contratto per l’installazione del sistema dinamico, ma ovviamente non era così, anche perché sinceramente rispetto al fatturato del Cesi l’importo di quell’eventuale appalto era una cosa di poco conto”

Aspi già qualche ora prima, vale a dire la sera del crollo del ponte, aveva mandato richieste urgenti al Cesi di inviare tutto il materiale prodotti nell’ambito delle indagini sul ponte allo scopo di verificare se vi fossero o meno “segnali d’allarme” circa la sicurezza della struttura. E’ Chiara Murano, la responsabile del Marketing (che sarà sentita in aula domani) a inviare il materiale mettendo in copia Andreis. Nella mail di accompagnamento Murano scrisse a ‘mo di riassunto che: “… il ponte ha mantenuto pressoché invariata la sua risposta dinamica nel tempo, nonostante la vetustà della struttura, il variare delle condizioni di traffico, la particolare esposizione ambientale e la severa esposizione al rischio idrogeologico dell’area… Dal nostro punto di vista… le attività di gestione e sorveglianza del ponte sono state adeguate e svolte con la dovuta diligenza. Riteniamo piuttosto che le cause di quanto tragicamente occorso siano da rintracciarsi nel vizio progettuale originario di una struttura complessa e inconsueta… e che questo possa aver generato un collasso imprevisto e non riconducibile ai paradigmi dell’ingegneria classica”.

Per quella mail in seguito sia Murano sia lo stesso Andreis che era il suo superiore furono prima sospesi e poi licenziati dal Cesi.

Ma che dopo il crollo del ponte ci fosse, non solo negli ambienti di Aspi e Spea, ma anche da parte di chi negli anni precedenti, aveva avuto appalti di consulenza sulla sorveglianza del viadotto Polcevera, tensione e confusione è emerso oggi quando uno degli avvocati dell’ex ad Giovanni Castellucci ha mostrato uno scambio di mail interno al Cesi in cui, riepilogando il lavoro svolto, lo stesso Andreis scrive: “Questo ponte si è comportato in modo costante in oltre 50 anni” nel senso che “la pila crollata è risultata la più stabile ed equilibrata come comportamento stabile nel tempo”. Questa mail, che oggi in aula è stata bollata dallo stesso Andreis come frutto della “confusione del momento” che poi hanno immediatamente corretto. Non a caso lo stesso Andreis in una successiva missiva ad Aspi del giorni successivi al crollo diffiderà la stessa dal tener conto di testi diversi rispetto ai rapporti consegnati che devono fra l’altro essere presi in considerazione nella loro integrità.

Il secondo testimone sentito oggi, Fabrizio Gatti, che del Cesi era il project manager e seguì direttamente le fasi operative dei monitoraggi ha spiegato che per installare il sistema monitoraggio dinamico permanente sugli stralli delle pile 9 e 10 sarebbe stato sufficiente un mese, ma Aspi di fatto suggerirà una modifica di uno dei rapporti finali spiegando che se non si fosse potuto installare in tempo si sarebbe potuto fare “a valle” del progetto di retrofitting e nel mentre era necessario ripetere un monitoraggio dinamico temporaneo, come era stato fatto dal Cesi nel 2016 “entro due anni”.

Sul fatto che la pila 10 nelle indagini dinamiche svolte per un mese dal Cesi fosse risultata ‘asimmetrica’ nella risposta a differenza della pila 9 (quella crollata dopo un distacco nella zona più alta sull’antenna), Gatti, a domanda del pm ha chiarito che “i sensori non vennero montati in cima agli stralli, vicino alla sella perché in quel periodo c’era sempre molto vento, con un rischio anche per i lavoratori, quindi li applicammo a metà strallo e poi più in basso, nella zona della biforcazione”. Se fosse stato installato per tempo un sistema permanente probabilmente le anomalie della pila 9 sarebbero state rilevate per tempo, ben prima del crollo.

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