Genova. Due consulenze, una sull’andamento delle concessioni dal 1968 al crollo del ponte e una seconda sugli aspetti tecnici che riguardavano la definizione della tariffa delle autostrade e gli investimenti che sono stati fatti negli anni. Sono stati questi gli incarichi che il commercialista Marcello Pollio (presidente fra l’altro del collegio sindacale della Sampdoria) è stato chiamato a svolgere come consulente della Procura “utilizzando il documento fornito dalla stessa Aspi al Mit dopo il crollo del viadotto”. Oggi Pollio ha illustrato i risultati delle sue analisi nel processo in corso per il crollo del ponte Morandi
“In questo documento emerge anzitutto che fino a quando c’era lo Stato a gestire il ponte sono stati investiti 24 milioni di euro – ha spiegato Pollio al termine dell’udienza – e se li dividiamo per ciascun anno vediamo che veniva investito un milione e 800 mila euro all’anno. Poi gli investimenti dal 1995 e per una decina di anni sono stati sospesi perché era stato fatto un investimento grosso sul rinforzo delle pile (in particolare della pila 11, nrd). Dal 2005 gli investimenti sono ripresi e si sono spesi fino al crollo del 2018 9 milioni e 500 mila euro ma se consideriamo che di questa cifra 6 milioni e 700 mila euro hanno riguardato il cambio dei jersey e il nuovo carroponte, si nota che le opere strutturali sono state poche. In ogni caso per il periodo in cui ha investito il privato emerge che l’investimento non è stato pari a un milione e 800 mila euro ma molto più ridotto.
Pollio ha parlato anche degli utili e di quanto rendevano le azioni di Aspi: “Dai bilanci si vede come il concessionario è sempre stato in utile e questi utili sono stati distribuiti verso gli azionisti privati (Atlantia) che distribuiva a se stesso utili che erano molto alti in termini nominali e in termini percentuali. In pratica rispetto a un euro investito l’azione rendeva fino al 150% all’anno”.
In particolare, come ha spiegato il commercialista in udienza, se nel 2012 un’azione di un euro rendeva il 31% (“cifra già piuttosto alta rispetto a un rendimento medio delle azioni che va dal 14% al 20%” ha spiegato) nel 2017, un anno prima del crollo un’azione del valore di un euro consentiva di ottenerne un utile di 2,50 euro.
“La domanda che ci si deve porre è – ha concluso il consulente parlando con i cronisti – se quando ci sono tanti utili non si corre il rischio di lasciare indietro le spese per gli investimenti, visto che poi il ponte è crollato”.