Genova. Saracinesche abbassate, luci spente e servizi in meno. I negozi a Genova continuano a diminuire, ma non in tutta la città. Solo nelle zone interne e periferiche. Da 3/4 vetrine si è passati a una, se non a zero in molte vie. Una vera e propria desertificazione commerciale.
In centro, al contrario, il trend è positivo anche e soprattutto grazie a una presenza sempre più massiccia di turisti e visitatori che contribuiscono a far girare l’economia cittadina. Proliferano bar, ristoranti, fastfood, rosticcerie, gastronomie e altre attività legate al food.
Se negli anni del boom economico si è assistito allo spopolamento delle campagne, per migrare verso la città in cerca di lavoro e opportunità, oggi – analogamente – nel settore commerciale genovese si assiste allo spopolamento delle zone periferiche per un sempre maggiore accentramento nelle zone ‘fronte mare’.
A scomparire sono i negozi di quartiere e di vicinato, quelli gestiti dal commerciante di fiducia, conosciuto da tutti nella via. I motivi sono sia economoci sia sociali legati da una parte all’inflazione e ai costi di energia schizzati alle stelle, diventati ormai insostenibili, e dall’altra all’apertura di grandi supermercati che attirano sempre più persone verso il centro. Un’altra causa è senz’altro anche la preferenza, diffusa, di acquistare online, con consegne a domicilio.
“Genova ha bisogno di più progetti commerciali di ampio respiro, come il caso dell’Acquario al Porto Antico, un enorme volano per turisti e visitatori non fine a se stesso, perché è in grado di portare lavoro e introiti a diversi comparti turistici (e non solo) presenti nelle zone limitrofe. Al contrario, la Fiumara, per esempio, intorno a sé ha il vuoto. Le vie accanto sono deserte, cresce il disagio e il degrado”.
A ricostruire e commentare il quadro commerciale genovese è Paolo Barbieri, direttore di Confesercenti Genova, in occasione della pubblicazione dello studio nazionale “Il Commercio oggi e domani”, sul futuro della distribuzione commerciale condotto da Confesercenti e IPSOS.
“In confronto al 2019, a fine 2023 si conteranno oltre 52mila imprese del commercio in meno, per un declino complessivo del -7%” emerge dalllo studio.
E ancora: “Un’accelerazione del processo di desertificazione su cui incide la doppia crisi vissuta dal comparto che, dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha visto interrompersi la ripresa a causa degli effetti di inflazione e caro-energia, che hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie: negli ultimi due anni, il potere d’acquisto degli italiani è infatti calato di 14,7 miliardi di euro, oltre 540 euro in meno per nucleo familiare. Un vero e proprio crollo, che pesa sul tessuto dei negozi di vicinato più della concorrenza dell’online”.
In particolare, dallo studio nazionale emerge inoltre che a diminuire rispetto al 2019, in numeri assoluti, sono soprattutto i negozi di moda (-8.553 unità rispetto al 2019, con un calo del -6,3%), anche se le riduzioni percentuali più elevate vengono registrate da giornali e articoli di cartoleria (-13,5%, per 3.963 imprese in meno).
In forte contrazione anche le imprese attive nella vendita di pane e torte, (-6,1%, per 679 attività in meno) e di carni (-5,7%, -1.663 imprese). Più contenuta la perdita per le librerie (-2%, o -112 imprese).
Non tutti i comparti merceologici, però, vanno male. È il caso delle imprese specializzate nella vendita di frutta e verdura, che rispetto all’ultimo anno prima della pandemia crescono del 2%, per un totale di 432 imprese in più.
Bene anche i negozi specializzati in Pesci, crostacei e molluschi (+107 attività, per una variazione positiva del +1,2%) e quelli della distribuzione bevande, che aumentano di 291 attività sul 2019, con una crescita del +4,5% rispetto al periodo precedente alla pandemia.
Più che le chiusure di negozi, il problema è la mancanza di nuove aperture. Una dinamica evidente dai dati sulla natalità e mortalità delle imprese: nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021.
Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora. E nel 2023 la situazione non migliora: nei primi tre mesi dell’anno le nuove aperture sono ancora il 18% inferiori a quelle registrate nello stesso periodo del 2019.