Genova. Il 2022 ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia, -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. Una contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni e che ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione. L’ottavo rapporto sulla maternità di Save The Children Le equilibriste evidenzia che le donne hanno meno figli o non ne hanno affatto: i primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008, con una contrazione anche del numero di figli nati da entrambi i genitori stranieri, che si è fermato a quota 56.926 nel 2021 (era 79.894 nel 2012).
La Liguria non spicca, rispetto ad altre regioni, nella classifica stilata dagli indicatori che compongono il cosiddetto Indice delle madri elaborato dall’Istat per Save the Children, che è il risultato di una analisi basata su 7 dimensioni: demografia, lavoro, servizi, salute, rappresentanza, violenza, soddisfazione soggettiva. Si tratta di una classifica delle regioni italiane stilata in base alle condizioni più o meno favorevoli per le mamme.
Il valore del Mother’s Index, pari a 100, rappresenta il termine di riferimento rispetto al quale cogliere una condizione socioeconomica più favorevole per le donne, in caso di valori superiori ad esso, o al contrario condizioni meno vantaggiose, quando il valore si attesti su livelli inferiori a 100.
La Liguria (102) si posiziona all’11° posto dell’indice generale di questa particolarissima classifica delle regioni più o meno ‘amiche delle mamme’, 16 punti sotto alla Provincia Autonoma di Bolzano (118,8) che si colloca al primo posto, seguita da Emilia-Romagna (112,1) e Valle d’Aosta (110,3). A seguire, Toscana (108,7), Provincia Autonoma di Trento (105,9), Umbria (104,4) e Friuli-Venezia Giulia (104,2). Fanalino di coda dell’Index generale le regioni Basilicata (84,3), Campania (87,7), Sicilia (88,7), Calabria (90) e Puglia (90,6), che occupano rispettivamente dalla 21ma posizione alla 17esima e sono sotto il valore di riferimento di almeno 10 punti, scontando una strutturale carenza di servizi e lavoro nei propri territori, a testimonianza di un investimento strategico da realizzare proprio in queste regioni.
La dimensione della Demografia
Per quanto riguarda l’area della Demografia, la Liguria (100) si colloca al 13° posto, lontana dalle regioni più virtuose che sono la Provincia Autonoma di Bolzano (138,5), nettamente sopra al valore di riferimento fissato a 100 e quella di Trento (114,5), seguite da Sicilia (112,8), Campania (111,1) e Calabria (106,8). Al contrario, Sardegna (78,5), Basilicata, Molise (entrambe 90,5) e Umbria (94), registrano tassi molto al di sotto del valore nazionale, occupando gli ultimi posti dell’Indice.
La dimensione del Lavoro
La Liguria si colloca al 7° posto in questa dimensione (104,6). L’Emilia-Romagna (109,1), il Piemonte (108,9), la Valle d’Aosta (107,9) e la Lombardia (106,2), occupano i primi posti nell’area Lavoro. Regioni dove, per le madri è più facile trovare un impiego, non subire riduzioni di orario non volontarie o tenere un lavoro dopo la nascita di un figlio. Di contro, Sicilia (81), Basilicata (82,2) Calabria (82,4) e Campania (83,2) non forniscono dati incoraggianti sull’occupazione delle mamme, posizionandosi nella zona più bassa dell’Indice.
La dimensione della Rappresentanza
In questa dimensione, relativa alla percentuale di donne in organi politici a livello locale per regione, la Liguria (94,7) si colloca al 13° posto, mentre Umbria (128,4), Veneto (123,4), Toscana (122,8), Emilia-Romagna (117,4) occupano le prime posizioni. In Basilicata (68,4), Valle d’Aosta (80,3), Sardegna (83,7) e Puglia (84,5) invece, la rappresentanza femminile è ben al di sotto del valore di riferimento nazionale. Emblematico il caso della Basilicata a più di 30 punti sotto questo valore.
La dimensione della Salute
La regione ligure si trova in ottava posizione nell’area Salute, che riguarda mortalità infantile nel primo anno di vita e consultori attivi per abitante, e spiccano invece regioni come Valle d’Aosta (140,9) con ben 40 punti in più del valore di riferimento nazionale, Provincia Autonoma di Bolzano (117,6), Emilia-Romagna (110,4) e Toscana (110,2), mentre Calabria (88,6) e Campania (91,4) si posizionano agli ultimi posti con valori al di ben sotto di quello di riferimento, precedute a breve distanza da Molise (95,3), Sicilia (95,8) e Lazio (96,5).
La dimensione dei Servizi
In questa dimensione, la Liguria (110,2) si colloca al 9° posto, in una classifica guidata dalle province autonome di Trento (131,3) e di Bolzano (126,3), rispettivamente al primo e secondo posto, che sono le regioni più virtuose per i servizi offerti alle mamme e ai loro bambini (asili nido, mense scolastiche, tempo pieno), seguite da Valle d’Aosta (122,2), Emilia-Romagna (119,3) e Toscana (118,9). Nell’Area Servizi, è la Sicilia (75,8) a posizionarsi all’ultimo posto preceduta da Campania (78,3), Calabria (80,4) e Puglia (82), regioni dove l’offerta di servizi è discontinua o assente.
La dimensione della Soddisfazione soggettiva
Nell’area della Soddisfazione soggettiva, la Liguria (102,1) si colloca al 10° posto, e a raggiungere i livelli più alti del valore di riferimento nazionale (100) sono nuovamente le Province Autonome di Bolzano (132,4) e Trento (125,7), seguite da Umbria (116,7), Piemonte (111,7), Valle d’Aosta (109,7) e Molise (104,4). Le regioni, invece, dove le mamme sono decisamente meno soddisfatte sono Calabria (82,1) e Sicilia (82,4) precedute da Campania (85), Basilicata (85,1) e Puglia (95,8).
La dimensione della Violenza
Nell’area Violenza di genere, che riguarda la presenza di centri antiviolenza e case rifugio, la regione ligure (99) si colloca solo al 14° posto, mentre nelle ultime posizioni troviamo Basilicata (71,7) e Provincia Autonoma di Trento (84,2), precedute a stretto giro da Campania (84,8), Sicilia (85,4), Puglia (90,1) e Lazio (91,8). Le regioni più virtuose sono invece Friuli-Venezia Giulia (131,7) e Provincia Autonoma di Bolzano (130,3) con uno stacco di più di 30 punti sul valore di riferimento nazionale, seguite da Molise (127,2), Valle d’Aosta (125,2), Emilia-Romagna (121) e Abruzzo (120,5).
Madri sempre più tardi in Italia
In Italia si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni. Il 12,1% delle famiglie con minori in Italia è in condizione di povertà assoluta e una coppia con figli su 4 è a rischio povertà.
Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali.
Il gap di genere sul tempo di cura
In Italia, le donne dedicano 5 ore e 5 minuti al giorno al lavoro non retribuito di cura domestica e della famiglia, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Il 74% di questo carico grava quindi su di loro e anche quando contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, dedicano alla cura 2,8 ore in più di loro, che salgono a 4,2 quando ci sono i figli. Ma, come sottolinea il rapporto Le Equilibriste, in un approfondimento dedicato ai papà, tra le pieghe del ménage familiare si intravede un trend finalmente positivo. Anche se la maternità interferisce direttamente con l’accesso al mercato del lavoro delle donne, mentre la paternità spinge i padri a lavorare ancora di più, questi ultimi manifestano una crescente esigenza di conciliazione tra lavoro e famiglia. Lo dimostra il numero maggiore dei padri che usufruiscono del congedo di paternità introdotto nel 2012, che dal 2013 sono quadruplicati raggiungendo quota 155.845 nel 2021, contro i 50.500 del 2013, per un tasso di utilizzo che è passato dal 19,23% al 57,6%.
Antonella Inverno, responsabile Politiche infanzia e adolescenza di Save the Children Italia, dice: “Sappiamo che dove le donne lavorano di più nascono anche più bambini, con un legame tra maggiore fecondità e posizione lavorativa stabile di entrambi i partner. Tuttavia, la condizione lavorativa delle donne, e in particolare delle madri, nel nostro Paese è ancora ampiamente caratterizzata da instabilità e precarietà, a cui si aggiungono la carenza strutturale di servizi per l’infanzia, a partire dalla rete di asili nido sul territorio, e la mancanza di politiche per la promozione dell’equità nel carico di cura familiare. Non possiamo permetterci di perdere l’occasione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza per costruire finalmente una rete capillare di servizi per la prima infanzia ed è altrettanto necessario andare con più forza verso un congedo di paternità paritario rispetto a quello delle madri. L’Italia è un paese a rischio futuro, e se è vero che il trend di denatalità non può essere invertito velocemente, è ancor più vero che è quanto mai urgente invertire il trend delle politiche a sostegno della genitorialità per non perdere altro tempo prezioso”.
La ricerca Ipsos sul vissuto delle mamme in Italia
Nella quotidianità sono le madri a dedicare gran parte del loro tempo alla cura del figlio/a, 16 ore contro le 7 del partner. Il 40% delle mamme intervistate fatica a ritagliarsi del tempo per sé. Il 40% delle donne riporta anche vissuti di crisi o conflittualità nella coppia dopo la nascita del figlio/a, e 1 donna su 5 segnala l’emergere di una maggiore aggressività del partner o dichiara di averne avuto paura. Ben 6 mamme su 10 non hanno accesso al nido, risorsa chiave per la loro partecipazione al mercato del lavoro. In più di 1 caso su 4 ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico. Rispetto alle politiche considerate maggiormente amiche dalle mamme, dalla ricerca emerge l’assegno unico, di cui usufruisce il 63% delle intervistate, mentre solo il 15% beneficia del bonus nido. Se quasi la metà del campione non ha intenzione di avere altri figli, perché troppo faticoso (40%), per le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia (33%), per mancanza di supporto (26%) o per insufficienza dei servizi disponibili (26%), il sondaggio evidenzia quale sostegno potrebbe cambiare in positivo la propria propensione ad avere ulteriori figli. Tra quelli segnalati emergono un assegno unico più consistente (23%) o la possibilità di asili nido gratuiti (21%), ma anche un piano personalizzato di assistenza tarato sulle esigenze specifiche della famiglia (12%), un’assistenza domiciliare pubblica in caso di malattia del bambino/a per permettere ai genitori di non assentarsi dal lavoro (7%) o un sostegno psicologico pubblico che accompagni le madri nei primi mesi di vita (6%).
Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, commenta: “In Italia si parla molto della crisi delle nascite ma si dedica poca attenzione alle condizioni concrete di vita delle mamme, le equilibriste sulle quali grava la quasi totalità del lavoro di cura. Per sostenere la genitorialità occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Occorre potenziare il sostegno economico alle famiglie con minori, a partire da tutte quelle che vivono in condizioni di difficoltà, considerando che la nascita di un bambino rappresenta in Italia uno dei principali fattori di impoverimento. Allo stesso tempo, in un Paese dove il numero dei giovani fuori dai percorsi di formazione, studio e lavoro raggiunge una delle percentuali più alte in Europa, è indispensabile garantire ai più giovani l’autonomia abitativa e condizioni lavorative dignitose. I pochi bambini che nascono oggi dovrebbero poi vedere assicurato l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Eppure sappiamo che questi diritti fondamentali non sono assicurati in tutto il Paese dove permangono, come dimostra l’Indice regionale, gravissime disuguaglianze territoriali”.
I progetti di Save the Children 0-6 anni in Italia
Save the Children Italia, attraverso i suoi programmi dedicati all’area della prima infanzia e rivolti ai bambini e alle bambine tra 0 e 6 anni, realizzati in partenariato con organizzazioni territoriali competenti e qualificate, agisce, fin dalla gravidanza, per sostenere le situazioni più critiche e per tutelare i diritti delle bambine e dei bambini e promuovere il loro benessere, con l’obiettivo di non lasciarne indietro nessuno.
All’azione di identificazione e supporto precoce, si affianca l’offerta di spazi ad alta densità educativa, dedicati ai genitori e ai bambini tra 0 e 6 anni. Si tratta del programma Spazio Mamme, attivo anche nella città di Genova, per accompagnare gli adulti di riferimento, costruire con loro percorsi di autonomia e sperimentare modelli di attivazione delle comunità territoriali e dei servizi di cura, educativi, culturali e di sostegno sociale. Attualmente ci sono 13 Spazi Mamme attivi nelle città di Genova, Milano, Torino, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, San Luca (RC), Palermo, Catania e Sassari, che hanno offerto i loro servizi a più di 7.500 bambine e bambini, genitori e adulti di riferimento, più di 2200 nel solo 2022.