La storia

La traversata delle Alpi a zero impatto, il genovese Teo Rebora tenta l’impresa a piedi e con gli sci

Uno zaino da 30 chili sulle spalle, la voglia di scalare tutti i 4000 ma anche quella di "godersi l'esperienza" per il 25enne che sogna "un alpinismo totalmente sostenibile"

teodoro rebora

Genova. C’è un ragazzo di 18 anni che, subito dopo aver sostenuto l’orale della maturità, prende e parte per un viaggio a piedi lungo le Alpi. E’ il 1981. Tre mesi di cammino e scalate dalla Liguria a Trieste attraverso 220mila metri di dislivello e 25 vette. Si chiama Mauro Michieli e recentemente, con il libro “L’abbraccio selvatico delle Alpi”, ha dedicato quel percorso esistenziale “ai ragazzi e ragazze del nuovo millennio”.

E poi c’è Teodoro Rebora che – classe 1998 – si può definire “un ragazzo del nuovo millennio”. E che un po’ per caso si è trovato a condividere gli stessi pensieri e gli stessi aneliti che avevano motivato Michieli nel suo viaggio. Sì perché da qualche settimana anche lui ha iniziato a percorrere la via Alpina. Con l’obbiettivo di salirne tutti i 4000. A piedi e con gli sci. Anzi, come dice lui, “a propulsione umana”.

“Teo” è nato e cresciuto nell’immediato entroterra di Genova e all’ombra delle “montagne di casa”, la zona di Praglia. Una laurea in chimica e un diploma da guida escursionistica, qualche esperienza da impiantista, un lavoro da istruttore d’arrampicata alla palestra di Lago Figoi, tutto momentaneamente in stand by per mettere in atto il “Progetto traversata”. Questo è anche il nome con cui lo si può trovare su Instagram e su Facebook, aiutato da una fidanzata che “ama la montagna, ma non è una bestia da soma come me”, scherza Teodoro.

Non è un modo di dire. Rebora ha deciso di percorrere per quanto possibile la traversata in autonomia. E quindi di dormire in tenda o in bivacchi “anche se l’altra sera il rifugista del Vittorio Emanuele mi ha fatto un grande regalo offrendomi un letto”. Tra tenda, sci, scarponi, provviste, materiale alpinistico il peso dello zaino arriva a 27 chili. “E’ il minimo indispensabile – spiega – se si eccettua il chilo e 300 grammi di macchina fotografica, ma alla fine quella era indispensabile per me, con una gopro o un cellulare non sarebbe la stessa cosa”.

Teodoro Rebora si definisce un “fotografo amatore”, con un understatement tutto genovese. Stesso atteggiamento cauto anche per parlare del suo progetto. “Sono partito un po’ in sordina e cerco di godermi l’esperienza, poi se dovessi riuscire a portarla a termine con questi mezzi sarebbe anche un primato“.

E’ passato più di un mese dal 2 aprile, quando il 25enne si è incamminato dal passo del Faiallo verso l’Altavia e poi le Marittime. Quando lo raggiungiamo al telefono si trova a Pont, in Valsavaranche – tappa 30 – pronto per dirigersi verso Rhêmes-Notre-Dame. Alle spalle si è lasciato dieci giorni consecutivi di cammino oltre il massiccio Des Ecrins e il Gran Paradiso, salito e sceso con gli sci. “Ho anche sciato il Col Perdu, era uno dei miei sogni nell’ambito di questo viaggio”, racconta Teodoro.

Chi abbia una minima esperienza di trekking o scialpinismo sa quanto sia fondamentale ridurre al massimo il peso sulle spalle. Tanto più se si tratta di camminare e sciare per tre mesi di fila. Nella sua impresa Rebora è sostenuto da uno dei negozi cult per gli amanti della montagna a Genova, Boni Sport, che gli ha fornito uno zaino efficiente e lo sci più leggero attualmente in commercio. “Sono il mio unico sponsor, a dire il vero non mi sono neanche impegnato a cercarne altri”, scherza l’avventuriero.

Ha altri obbiettivi Teodoro: “Uno di questi è comunicare, per quanto mi sia possibile, che è possibile un tipo di alpinismo pulito, a basso impatto, per me quella ecologica è una priorità al punto da sentirmi definire a volte un po’ integralista, ho imparato a sciare con le pelli e senza impianti di risalita e per me quello è l’unico modo di sciare”.

Un integralismo che, ovviamente, rende più complicato il suo progetto di attraversare l’arco alpino salendo tutti i 4000. “Soprattutto per quanto riguarda i passaggi in quota è necessario attendere finestre di bel tempo sufficienti e sperare che a queste finestre di bel tempo corrispondano condizioni favorevoli per quanto riguarda la neve e il rischio valanghe“. Chi in passato ha provato a completare la traversata delle Alpi e l’ascesa dei 4000 lo ha fatto con l’ausilio di furgoni o, tuttalpiù, in bicicletta. Non a piedi.

Le fonti di ispirazione, a Teo Rebora, non mancano: c’è stato il grande alpinista svizzero Ueli Steck che ha compiuto l’impresa in 62 giorni nell’estate del 2015, spostandosi a piedi e in bici. Il concatenamento era già stato completato nello stesso stile, senza uso di mezzi a motore e in bicicletta, da Franco Nicolini e Diego Giovannini che l’avevano portato a termine in 60 giorni nel 2008. Mentre, nel 2007, Miha Valic, sloveno, l’aveva completato in 102 giorni, con trasferimenti in macchina ma in gran parte in inverno. Gli ultimi sono Nicola Castagna e Gabriel Perenzoni, che tra maggio e luglio 2021, sono riusciti a salire tutte le 82 cime oltre i quattromila metri delle Alpi. Anche loro si sono spostati in macchina scegliendo le vette di volta in volta a seconda del meteo. “Avrò bisogno di molta fortuna e di più tempo, e mi sono organizzato per averlo – riflette il genovese – ma non è infinito quello che ho a disposizione, così come non sono infinite le finanze…”.

Per questo e per altri motivi il progetto di Teodoro Rebora assomiglia davvero tanto di più a quello di Michieli. Un fascino vintage, un approccio pulito, oltre il by fair means, e pensieri che si ritrovano invariati a distanza di oltre quarant’anni. “Nell’introduzione e nel libro in generale ho trovato degli stralci in cui l’autore espone idee, opinioni, sensazioni che erano e sono letteralmente uguali alle mie, e che sono parte delle mie motivazioni al viaggio. Il che mi ha colpito, è stata una cosa quasi simbolica, se vogliamo visto che si sono sviluppate in maniera del tutto indipendente anche nel tempo”. Spoiler: Michieli ce l’ha fatta.

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