Genova. “L’aggressione a Faveto è scaturita semplicemente da voci sulla sua presunta pedofilia, risultate peraltro infondate all’esito della perquisizione e l’attento vaglio degli apparecchi informatici della vittima. Non solo, ma l’indagato e gli altri giovanissimi hanno deciso di raggiungere Faveto per punirlo sulla base del sommario racconto de relato […] senza avere particolare motivo di rancore nei suoi confronti, cogliendo semplicemente l’occasione per realizzare una vera e propria spedizione punitiva”. Lo scrive il gip Silvia Carpanini nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita questa mattina dai carabinieri della compagnia di San Martino nei confronti di Daniel Borsi, 18 anni, di origine bielorussa ma adottato da una famiglia italiana, accusato di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi, considerato il responsabile della morte di Servio Faveto, l’ingegnere informatico di 52 anni, picchiato a calci e pugni lo scorso agosto e morto a metà settembre in conseguenza di quelle lesioni.
Ad agire insieme a Borsi, il 17enne A.C. per il quale tuttavia il tribunale dei minori ha deciso di non applicare alcuna misura. Nel gruppo, anche se non attivi nel pestaggio, ci sarebbero altri due giovanissimi, una ragazzo e una ragazza.
Quella sera Faveto, che non era affatto un pedofilo ma solo una persona fragile e probabilmente molto sola, intorno alle 9 di sera stato avvicinato prima da un vicino di casa che lo aveva bollato come pedofilo e gli aveva dato quattro schiaffi. Per questo Faveto aveva chiamato immediatamente il 112 per denunciare l’aggressione, ma poco dopo l’ingegnere dopo essere passato dal bar vicino a casa era stato notato da una ragazza che lo aveva allontanato con lo stesso epiteto. Lui era andato via ma era stato inseguito da un gruppetto di ragazzini: aveva provato a rifugiarsi in un portone e a chiamare di nuovo il Nue ma uno di loro (si tratterebbe di Daniel Borsi) lo aveva fatto uscire a forza e una volta in strada aveva cominciato a picchiarlo. Una volta che Faveto era finito a terra l’altro giovanissimo, il minorenne, lo avrebbe ripetutamente colpito con calci al petto.
I ragazzini allertati dalle sirene dall’ambulanza e delle civette dei carabinieri si erano dileguati. Non è stato semplice per i militari, coordinati dal sostituto procuratore Paola Calleri, ricostruire con esattezza quanto accaduto: i carabinieri sono partiti da alcuni testimoni che hanno individuato alcuni giovani del luogo che erano sul posto pur non avendo partecipato direttamente all’aggressione e, come emerge dall’ordinanza, sono state soprattutto le intercettazioni telefoniche a consentire di ricostruire tassello dopo tassello, la dinamica e i responsabili della spedizione punitiva.
I ragazzi dopo la morte di Faveto parlano tra loro continuamente di quanto accaduto soprattutto quando i carabinieri, che già avevano messo sotto intercettazione i loro telefoni, cominciano a chiamarli uno a uno a raccontare in caserma quello che sapevano. Alcuni, spaventati, parlano con i loro genitori o famigliari e fanno di fatto i nomi dei responsabili e a poco serve che nel frattempo cancellino tutte le chat di quel periodo con i loro amici.
“Praticamente quest’estate c’era sto presunto pedofilo che stava parlando con una ragazzina – racconta uno dei ragazzi al fratello – è arrivato un signore e gli ha dato quattro schiaffi. Poi sono arrivati sti tre ragazzetti e han detto ‘Oh guarda dov’è! E han cominciato a suonarlo”.
“Si sono vantati di aver picchiato un signore che poi è morto – racconta un altro giovane al padre che lo invita a dire tutta la verità ai carabinieri – raccontavano le cose perché finché non era morto erano tutti presi bene. ‘Stiamo dei grandi, l’abbiamo picchiato’ dicevano”.
Dopo la morte di Faveto però la preoccupazione cresce tra gli aggressori e addirittura Borsi, come racconta una ragazza al fidanzato avrebbe suggerito a lei ad altri di raccontare che Faveto aveva molestato una ragazza del gruppo ma precisa “Io non l’ho detto perché se l’ha fatto o no non lo so”. Come scrive il gip Carpanini “Borsi evidentemente rendendosi conto dell’assoluta gratuità del suo gesto ha cercato di crearsi un movente che potesse quantomeno giustificare, pur non certo scriminandola, la sua condotta”.
Nei guai oltre ai due giovanissimi responsabili dell’aggressione potrebbero finire altri giovani per favoreggiamento, oltre al vicino di casa che mettendo in giro le voci false sulla pedofilia e picchiandolo per primo quella sera avrebbe in qualche modo istigato i giovanissimi.