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Il Fenomeno Laplante, funziona il cabaret futurista del Teatro della Tosse

L'ascesa sanguinaria di Mussolini raccontata anche attraverso un episodio dimenticato della nostra Storia

fenomeno laplante

Genova. Ancora pochi giorni in cartellone al Teatro della Tosse Il fenomeno Laplante – Lo strano caso del capo indiano fascista, sino al 2 aprile nella sala Dino Campana in Sant’Agostino. Uno spettacolo che ha debuttato in prima nazionale il 23 marzo, nuova produzione proprio della Fondazione Luzzati, su testo di Maurizio Patella e con la regia di Emanuele Conte. Patella, finalista con questo titolo al premio “Shakespeare is now 2021” e al Premio Riccione per il teatro 2021, ha avuto la brillante idea di riportare alla luce un episodio dimenticato della nostra Storia, che consente di riflettere sorridendo su come il popolo italiano sia facilmente abbindolabile e sottovaluti ciò a cui va incontro. “Intanto Mussolini durerà tre mesi, poi finirà questa buffonata” è il mantra che viene ripetuto più volte durante lo spettacolo.

A destreggiarsi con abilità sul palco gli attori del collettivo di Generazione Disagio (Luca Mammoli, Graziano Sirressi ed Enrico Pittaluga), già apprezzati in Art, sempre diretti da Conte. I tre interpretano molti personaggi vestiti con i colori della bandiera italiana.

Dopo un breve excursus sulla fascinazione degli italiani nei confronti degli indiani d’America e sulle condizioni difficili negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, si entra nel vivo con quella che è a tutti gli effetti la storia vera di come un attore-truffatore diventò agli occhi di tutti Cervo Bianco, un capo indiano che voleva portare la camicia nera nella sua tribù per lottare contro il nemico americano che rubava il petrolio e faceva “battere i dentini” ai bambini per il freddo. Laplante riuscì a farsi finanziare una tournée in Italia dispensando soldi e gioielli non suoi, grazie al favore di alcune aristocratiche ed esponenti del partito.
Nello stesso periodo avvenne il rapimento e l’omicidio di Giacomo Matteotti e il racconto di quella tragica vicenda che diede il via al Regime, procede parallela attraverso un cambio di luci (Matteo Selis), in una narrazione che, nell’azzeccata definizione di cabaret-futurista, evoca parole, movimenti, gesti e costumi (Danièle Sulewic) dell’epoca.

Inevitabile intuire come Laplante e Mussolini siano due facce della stessa medaglia.

Le scene, dello stesso Conte e di Luigi Ferrando, citano le poesie di Marinetti nel pannello alle spalle degli attori dove incombe il costume di Cervo Bianco (che in realtà è tuttora esposto al Museo Lombroso di Torino).
Esilaranti alcuni momenti in cui Sirressi-Cervo Bianco dà il via a una danza che ne rappresenta l’ascesa irrefrenabile (su musiche di FiloQ, coreografie di Giovanni Di Cicco). Il Vittorio Emanuele di Pittaluga è un piccolo uomo in ogni senso, mentre Mammoli, con poche movenze, dà vita a ciò che rappresentò il mito e i rituali di Mussolini.

Il finale, con il discorso del dittatore che si assunse la responsabilità politica dell’omicidio Matteotti, ci ricorda che ancora oggi è bene ricordare tutto questo.

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