Genova. Una prova degli attori superba, nessuno escluso, con un applauso a scena aperta durante la recita per Laura Marinoni, nei panni di una Clitemnestra perfetta nella sua doppiezza di moglie fedele e vendicatrice, salutata al termine con ovazioni, meritate, insieme alla statuaria Corifea di Gaia Aprea e alla viscerale Cassandra di Linda Gennari. Applausi al debutto dell’Agamennone, prima parte dell’Orestea, in scena al Teatro Ivo Chiesa di Corte Lambruschini sino al 25 marzo. Platea popolata da tanti giovani studenti. La co-produzione del Teatro Nazionale di Genova con l’Inda – Istituto Nazionale per il Dramma Antico, viene riproposta a Genova dopo le date al Teatro greco di Siracusa. Uno sforzo mastodontico questa messa in scena, tanto che a prendere gli applausi finali, il regista e scenografo Davide Livermore chiama anche i tecnici che hanno permesso la messa in scena al chiuso usando la scenografia originale, studiata per un palco molto diverso.
Il dramma apre la trilogia Orestea. Nella reggia di Argo, un sistema di fuochi avverte che Troia è stata presa. Si attende con ansia il ritorno di Agamennone, preceduto da un araldo che narra le fatiche della guerra e il faticoso ritorno. Clitennestra da tempo prepara l’assassinio del marito, che le aveva sacrificato la primogenita Ifigenia. Agamennone entra in scena portando con sé la concubina Cassandra, che profetizza l’imminente regicidio senza essere creduta. Viene scannata insieme al re da Clitennestra che prende il potere accanto all’amante Egisto.
Un Agamennone che ha una potenza visiva quasi stordente, immersiva, con il video design a cura di D-Wok incastonato in due enormi ledwall a cerchio (uno alle spalle del palco, l’altro usato come pedana, forse un po’ sacrificata rispetto allo spazio originario di Siracusa), che incombe sui personaggi e diventa esso stesso presagio: le immagini proiettate vanno da una farfalla che sbatte le ali al mare in tempesta, sino alle fiamme che segnalano la caduta di Troia e agli occhi profetici della profezia di morte. Le luci di Marco De Nardi si adeguano a una complessità del palco già notevole proprio per l’illuminazione legata ai video.
Un Agamennone che coinvolge nella musica (quella originale è di Mario Conte), eseguita dal vivo con pianoforte e clavicembalo da Diego Mingolla e Stefania Visalli (con inserti più rock nei momenti di maggiore pathos), nelle voci degli attori (amplificate e a volte distorte), nei suoni: che siano i rombi che segnalano gli stacchi tra i vari episodi, o le cadute degli stessi oggetti o addirittura le sottolineature, stridenti, dei tocchi tra i personaggi, che diventano parte integrante della recitazione stessa.
Un Agamennone che ha i costumi (di Gianluca Falaschi, prevalgono i toni scuri o il rosso del sangue) e le scene di ambientazione anni Trenta e Quaranta, in un parallelismo tra regimi totalitari in cui la natura umana sembra non cambiare più di tanto. Proprio questo aspetto farà storcere il naso ai puristi, per l’ardita spinta registica che di quell’ambientazione fa introiettare i gesti (il coro fuma), i mezzi di trasporto (Agamennone e Cassandra arrivano su un monoplano), atteggiamenti, osando anche un cambiamento nel ruolo del coro stesso: gli anziani notabili di Argo diventano infermiere e medici che spingono tre generali in carrozzella (Davide Pennavaria, Marco Travagli, Alessandro Trequattrini), una metafora di ciò che è diventata Argo dopo la partenza del sovrano?
Livermore mette la sua impronta su questo Agamennone esaltandone gli aspetti più passionali e cupi, disegnando un condottiero (l’ottimo Sax Nicosia) ancora convinto del suo potere tanto da fare il suo discorso davanti a tre microfoni, ma consapevole che sfidare gli dei è un ardimento non concesso agli uomini. Inserisce una doppia Ifigenia (Aurora Trovatello, Ludovica Iannetti con fattezze che ricordano quasi le due gemelle di Shining), ben presenti durante la rappresentazione. È proprio Ifigenia ad armare la mano di sua madre, che compie la vendetta nei confronti sia di Agamennone, sia di Cassandra. Splendida la risoluzione del racconto dell’omicidio di Agamennone con la profezia che si realizza alle spalle della principessa troiana mentre viene declamata. Il regista ha scelto due attrici per i ruoli della sentinella (Maria Grazia Solano) e del messaggero (Olivia Manescalchi)
Il coro (Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando) è perfetto nel sincronismo di voci e movimenti. Stefano Santospago è un Egisto silenzioso e remissivo, capace di impeto quasi folle quando arriva il suo momento. Completano il cast Riccardo Bertoni (Oreste bambino) e Anita Torazza (Elettra bambina).
Gran finale con Glory Box dei Portishead cantato da Maria Grazia Solano.
Livermore, nelle note di regia, dice: “Giustizia è l’idea fondamentale della trilogia e attorno alla quale gira tutta la storia dell’uomo, una giustizia i cui labili confini vengono costantemente messi in discussione in un dramma che racconta il dibattersi dell’uomo e delle sue umane fragilità in una rete senza scampo.
Nel descrivere le musiche il regista aggiunge: “Le musiche originali sono state curate da Mario Conte, che racconta così il lavoro svolto per lo spettacolo: sovrapposizione, frammentazione e rielaborazione sono le parole chiave, fondamento della composizione. Il suono come elemento di scrittura, non solo come risultante. L’utilizzo di tecniche di sintesi elettronica e strumenti musicali acustici tra i più svariati contribuisce alla creazione di tavolozze musicali cangianti che si basano sul campionamento di elementi naturali, paesaggi sonori, frammenti di musica antica e moderna, suoni dal web. Su tutto prevale il sintetizzatore in ogni sua forma. L’obiettivo è una tensione musicale costante, sempre molto scura, profonda, spesso dissonante: una linea narrativa addizionale basata sul suono. Un ulteriore aspetto che contribuisce in modo determinante al risultato finale è la sinergia tra l’interazione musicale creata dai due pianoforti in scena che gestiscono in real-time l’intera colonna sonora, in base all’evolversi delle dinamiche sceniche, e l’interazione ambientale, frutto della creazione di ambienti evocativi, riverberi, elementi della natura e sfondi musicali. Un frullatore di visioni individuali da cui nasce l’opera d’insieme”.