Le motivazioni della sentenza

Morta dopo l’asportazione di un neo al Centro Anidra, il giudice: “Condotte molto gravi ma non è stato omicidio doloso”

"Non ci sono riscontri che i due imputati fossero consapevoli del melanoma in atto in conseguenza all'intervento". Bendinelli assolto anche dalla violenza sessuale: "Accuse troppo generiche"

Roberta Repetto, la vittima

Genova. La morte di Roberta Repetto, la 40enne di Chiavari deceduta nell’ottobre 2020 all’ospedale San Martino di Genova per le conseguenze di un melanoma, due anni dopo l’asportazione di un neo al centro Anidra di Borzonasca senza anestesia e senza successivi esami istologici, è avvenuta a causa delle gravissime sottovalutazioni da parte del medico che la operò Paolo Oneda e del responsabile del centro Anidra Paolo Bendinelli.

Ma la loro responsabilità è colposa e non ci fu dolo. Lo spiega il giudice per l’udienza preliminare Alberto Lippini nelle oltre 60 pagine di motivazioni della sentenza, con cui ha condannato i due a 3 anni e 4 mesi di reclusione con rito abbreviato,

Perché si configuri il reato di omicidio doloso infatti, spiega il giudice occorre che gli imputati si fossero seriamente prefigurati l’evento, vale a dire che Roberta Repetto potesse morire a causa della loro sottovalutazione e quindi in dettaglio “che gli imputati avessero la certezza che il neo della donna fosse un melanoma, che i linfonodi fossero da collegarsi a quel neo e che la donna sarebbe probabilmente morta in conseguenza di quella situazione”.

Per il giudice invece “Non vi sono riscontri in atti circa il fatto che i due imputati si fossero rappresentati la morte di Roberta Repetto come probabile evento successivo alla condotta dell’asportazione del neo. Ed infatti, seppur vi sia stata un’incredibile sottovalutazione del rischio da parte dei due imputati nonostante i ripetuti segnali provenienti da Roberta Repetto circa le sue condizioni di salute i sintomo che la stessa mostrava non potevano in alcun modo far pensare che la stessa sarebbe deceduta in conseguenza dell’asportazione del nevo, anche in considerazione del fatto che Roberta Repetto, fino al momento del ricovero in ospedale, ha continuato regolarmente tutte le molteplici attività in cui era impegnata” . Nella sentenza il giudice riprende alcune testimonianze di sanitari nonché la letteratura medica sul tema per spiegare che i linfonodi ingrossati di cui Roberta si lamentava con Bendinelli nei mesi precedenti alla morte “non sono di per se indicativi di una malattia tumorale in generale né di un melanoma in particolare ma necessitano approfondimenti in quanto potrebbe avere origine infiammatoria”.

Bendinelli, per il giudice, non era un medico e ha certamente sottovalutato le richieste di aiuto di Roberta, non consigliandole di sottoporsi a esami ma suggerendole di praticare meditazione e bere tisane. E Oneda che invece era medico? Per il giudici “se si fosse realmente confrontato con l’evento morte e vi avesse in qualche modo aderito al fine di tutelare se stesso non si spiegherebbe il suo cambio di atteggiamento il 30 settembre 2020 quando l’imputato, a fronte delle gravissime ed irreversibili condizioni di salute della Repetto, non ha continuato a rimanere inerte ma ancor prima che giungessero i genitori e la sorella ha informato Roberta Repetto della gravità della situazione invitandola a recarsi in ospedale per sottoporsi ad esami e al successivo ricovero”

Il giudice circa i comportamenti di Oneda e Bendinelli parla di condotte “estremamente gravi” ma che non possono esser ritenute dolose “al di là di ogni ragionevole dubbio”. “Sembra allora più appropriato parlare di colpa cosciente” scrive nella sentenza.

Bendinelli, difeso dall’avvocato Alessandro Vaccaro, è stato anche assolto dalle accuse di violenza sessuale e circonvenzione di incapace (il sostituto procuratore Gabriella Dotto aveva chiesto complessivamente 16 anni per Bendinelli e 14 per Oneda, oltre che 10 per psicologa Paola Dora che è stata invece assolta)

Per quanto riguarda la violenza sessuale secondo il giudice di primo grado la Procura non è stata “ in grado di individuare i singoli episodi di violenza sessuale” collocando la presunta azione criminosa “in un lasso temporale del tutto indeterminato in violazione del principio di specificità dell’addebito penale” Roberta Repetto fra l’altro “non ha partecipato ai lavori sulla sessualità” che si svolgevano al centro Anidra “in maniera continuativa durante gli anni ma come lei stessa ha descritto nei suoi diari, ha deciso di interrompere in più occasioni e anche per lunghi periodi tali pratiche” e questo “insinua il dubbio circa l’effettivo condizionamento di Bendinelli nel condurla a compiere atti sessuali”.

Anche per quando riguarda il reato di circonvenzione di incapace (per il quale Bendinelli era imputato con Teresa Cuzzolin, per la quale il processo con rito ordinario deve ancora cominciare) che avrebbero portato Roberta Repetto a versare al centro Anidra nel corso del tempo complessivamente 120 mila euro il giudice scrive: “Non è sufficiente una situazione di ‘dipendenza psicologica della vittima se non si prova in modo rigoroso un abuso della stessa che conduca come diretta conseguenza la persona offesa a compiere atti per le pregiudizievoli. Non è stato quindi dimostrato “oltre ogni ragionevole dubbio che Roberta Repetto non abbia liberamente deciso di offrire supporto economico al Centro Anidra” né che volontariamente abbia deciso di dare il suo contributo per migliorare la struttura”.

Ora la Procura di Genova dovrà valutare il ricorso in appello contro una sentenza che smonta in buona parte l’impianto accusatorio pur condannando gli imputati per omicidio colposo.

“Abbiamo letto le motivazioni, ci stiamo confrontando con i nostri legali – dicono intanto i familiari di Roberta Repetto – Ad una prima sommaria lettura emergono contraddizioni e una sottovalutazione del fenomeno della manipolazione mentale nonostante la copiosa letteratura scientifica che dimostra le dinamiche di plagio e le perizie psichiatriche ordinate dalla Procura di Genova”. E aggiungono “Inoltre chi, lucidamente, si sarebbe sottoposto ad un intervento senza anestesia in un luogo non sterile, senza preventivamente consultarsi con i suoi parenti e decidendo di non chiedere i giusti aiuti a seguito delle successive sofferenze solo sul sentito dire di qualcuno? Forse quel qualcuno aveva così potere da annientare il potere personale di scelta? Chiediamocelo tutti”.

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