Genova. Ieri era passato esattamente un mese dalla sconfitta casalinga del Genoa contro il Cittadella. Una débâcle che porterà ad un cambiamento tecnico nel club rossoblù con Alberto Gilardino nuovo allenatore ad interim, due giorni fa ufficializzato fino a fine stagione per i recenti risultati ottenuti.
Per l’ex mister Alexander Blessin non è stato un momento semplice, o meglio, un’esperienza semplice. Lunatica tra le esultanze sotto la Nord e il continuo ottimismo, mostrando anche un gioco propositivo e fondato sull’intensità, alle partite sbagliate nella gestione e uno spogliatoio che si è andato a sfaldare di volta in volta.
Dopo l’esonero c’è stato un saluto riservato, in punta di piedi, non volendo magari creare ulteriore scompiglio nell’ambiente. Con l’anno nuovo, il tecnico tedesco ha rilasciato un’intervista al giornale tedesco T-Online, trattando in special modo della sua avventura sotto la Lanterna.
Partita ufficialmente il 19 gennaio 2022, con il Grifone in Serie A e con una situazione di classifica fortemente negativa, il suo approccio alla causa è dovuto essere celere: “C’era poco tempo per prepararsi. La prima partita è stata contro l’Udinese. Naturalmente, a quel punto sapevo che avevamo solo sedici partite in cui dovevamo recuperare otto punti. Ma quando si ha l’opportunità di allenare in Serie A, è stato ovviamente molto interessante. Il Genoa è il club più tradizionale d’Italia. Abbiamo stabilito subito un record, pareggiando le prime sette partite, nessuno lo aveva mai fatto in Italia. È stato bello segnare sempre, ma quando devi recuperare così tanti punti è difficile fare grandi passi avanti con i pareggi. Abbiamo stabilizzato la difesa in tempi relativamente brevi e abbiamo messo in piedi la terza miglior difesa in quelle sedici partite“.
Sulla prosecuzione del rapporto in Serie B, Blessin non aveva grandi dubbi: “Era relativamente chiaro che avremmo continuato a lavorare insieme. La retrocessione non è mai un granché, ovviamente. Il problema è cosa farne. Non è facile rialzarsi immediatamente. Ne eravamo consapevoli. Era anche chiaro che sarebbe stato un tipo di calcio diverso. Una parte rimarrà, un’altra arriverà. Ho dovuto adattare la mia filosofia, che sostengo e con la quale avevo già avuto successo a Ostenda. Nell’analisi preliminare, abbiamo deciso che dovevamo mettere insieme una squadra diversa dalle altre e adattare i nostri giocatori“.
Poi il periodo di difficoltà: “Dopo l’undicesima giornata, ci siamo riuniti ma non volevamo darci pacche sulle spalle: abbiamo avuto problemi in alcune posizioni. Diversi giocatori chiave si sono infortunati, il che è stato difficile da compensare e ha richiesto tempo per riadattarsi. Dovevamo cambiare sempre i giocatori, perdevamo le partite per sfortuna o le pareggiavamo. Poi, all’improvviso, ci si ritrova in una spirale negativa e si tratta di affinare i sensi e lavorare di nuovo sulla fiducia in se stessi. Quando si sa quanto sia critico questo ambiente, soprattutto nella fazione italiana, è ovviamente molto difficile continuare a lavorare lì“.
Una fiducia che, quindi, è venuta a mancare sempre di più: “Quando non abbiamo vinto cinque partite, c’è stata molta agitazione. Il presidente Zangrillo era l’unico del gruppo che già non mi sosteneva in Serie A. Voleva un allenatore italiano. Per questo motivo mi metteva costantemente sotto pressione affinché venissi esonerato. La cosa più semplice è sempre quella di licenziare l’allenatore per primo. Chi si occupa di questo lavoro deve anche tenere presente che, quando si firma il contratto, si stanno quasi rilasciando i documenti di licenziamento”.
“Sei il manager più povero, falso e presuntuoso che abbia avuto nella mia lunga carriera. Hai preso in giro tutti i genoani dal giorno 1, con le tue ridicole idee calcistiche hai portato alla retrocessione di una squadra che si poteva salvare. Ora che sei finalmente a casa, fatti un bagno di umiltà ed osserva Davide Nicola, cerca di imparare da lui come gestire un gruppo per ottenere risultati in campo, non i cori dei tifosi come hai fatto tu!”. Queste sono state le parole di Federico Marchetti nel periodo immediatamente successivo all’esonero di Blessin.
Sull’argomento il tecnico tedesco ha voluto dire la sua: “Se un allenatore riesce a raggiungere il 70-80% dei giocatori, allora ha già fatto un buon lavoro. Ci sono sempre giocatori che non si adattano. Questo è stato anche il caso di Marchetti. Era il terzo portiere e non mi piaceva il suo atteggiamento in allenamento. Si è preso troppo tempo e non si è messo al servizio della squadra. Di tanto in tanto ho notato che questo giocatore andava contro la filosofia del gioco e si ribellava ad essa. Il catenaccio è già molto radicato nella struttura in Italia. Questo significa che su tutto ciò che è nuovo in termini di gioco, ci sono ovviamente molte persone critiche, tra cui Marchetti. Dovevo prendere una decisione e per questo motivo era già stato mandato via la scorsa stagione in Serie A. In quel momento avevamo bisogno di giocatori che avessero in mente il nostro obiettivo“.
“Guardando indietro, ho una buona sensazione riguardo all’anno – avvia la sua conclusione Blessin -. Ci sono state molte emozioni, molto lavoro, molta intensità, quindi ci si porta dietro molte cose. Ho fatto nuove esperienze, molte cose positive, ma naturalmente anche cose da cui si può imparare. Ora mi sto riposando, ricaricando le batterie e concentrandomi sul prossimo compito, che spero arriverà prima o poi”.