Genova. L’avvocato Nadia Cafalato racconta che ieri pomeriggio quando la presidente della Corte d’assise d’appello Annaleila Delo Preite ha letto la sentenza sull’omicidio di San Biagio ha dovuto trattenere l’emozione in gola e lo stesso ha fatto Simone Scalamandré, che ha guardato per alcuni istanti quasi incredulo il suo avvocato. Non perché la sentenza sia incredibile, tutt’altro, ma perché il rischio per il 22enne, che era stato condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per il “contribuito minimo” al delitto, era che la pena potesse arrivare a 21 anni se fosse stato accolto il ricorso della procura.
Invece, almeno per il minore dei due fratelli accusati del parricidio del 10 agosto di 2020, le tesi delle difese sono state pienamente accolte: Simone Scalamandré non ha colpito mortalmente il padre Pasquale e non ha nemmeno concorso moralmente al suo omicidio, commesso invece dal solo Alessio, come d’altronde i due fratelli hanno sempre raccontato. Laura di Santo, mamma dei due ragazzi, con la sentenza di primo grado ha rischiato di perderli entrambi. Ieri ha ringraziato gli avvocati dicendo: “Adesso con più forza andremo avanti per Alessio”.
Sì perché per il maggiore dei due fratelli la pena confermata è pesante: 21 anni, un terzo in più tanto per fare un paragone con un caso di cronaca datato ma molto noto, dei 16 anni comminati in appello ad Annamaria Franzoni, che uccise il figlio Samuele di solo un anno. “Certo perché la Franzoni è stata condannata prima dell’entrata in vigore del codice Rosso che contiene una norma che impedisce alle attenuanti di bilanciare le aggravanti in caso di delitto tra persone legate da vincoli di parentela” ricorda Calafato che del codice rosso è un’esperta essendo l’avvocato penalista del avvocato Centro antiviolenza Mascherona. Calafato era l’avvocato di Laura Di Santo quando decise di denunciare il marito Pasquale per le minacce e le violenze ed è così che ha conosciuto i due ragazzi: “Certo stona parecchio pensare che questa norma è nata per dare una maggiore garanzia di pena in caso di femminicidio e oggi viene applicata nei confronti di due ragazzi accusati di aver ucciso il padre che minacciava di voler uccidere la loro madre”.
Ieri ancora una volta nel processo d’appello gli avvocati di Alessio e Simone, Luca Rinaldi, Andrea Guido e Nadia Calafato hanno chiesto di sollevare la questione di costituzionalità della norma e a loro si è associata la procura generale, come era avvenuto anche in primo grado, ma anche in questo caso la sentenza non è stata sospesa per rinviare la questione ai giudici costituzionali. Non solo, la procura generale si è associata anche alla richiesta di perizia psichiatrica fatta dai difensori per Alessio: “Visto il contesto particolare in cui è maturato il delitto – ha detto ai giudici il procuratore generale Cristina Camaiori – lo stato d’animo di Alessio merita un approfondimento” ma anche questa richiesta è stata respinta.
Ora gli avvocati di Alessio attendono le motivazioni che arriveranno entro due mesi per tentare il ricorso in Cassazione mentre Simone, se la procura decidesse di non fare ricorso, potrà cominciare a guardare al futuro.
“Chiaramente sono molto felice per Simone anche se ancora non sappiamo se per lui è davvero finita – dice Calafato – e sono soddisfatta che le tesi difensive sostenute fin dal primo interrogatorio siano state riconosciute dalla corte d’assise d’appello perché la cosa pazzesca di questo processo è che io non ho dovuto mai quasi portare argomentazioni difensive, nonostante avessi l’ottima consulenza del dottor Garofalo perché erano sufficienti le dichiarazioni fatte in aula dai consulenti dell’accusa e alcuni dubbi sollevati dagli stessi per affermare che Simone non è responsabile del delitto”.
Calafato ricorda come “Simone avrebbe potuto andarsene prima dell’arrivo della polizia, visto che aveva una partita di calcio e avrebbe avuto dei testimoni, poteva buttare via i vestiti sporchi di sangue, poteva non raccontare di aver cercato all’inizio di difendere il fratello a mani nude visto che questo fatto non era emerso da nessun altro riscontro”.
Rispetto al questione delle macchie di sangue sui vestiti, “però non è possibile dimostrare la partecipazione di Simone all’omicidio visto che è palese che lui sia stato presente alla scena a ridotta distanza dal punto di produzione degli impatti viste anche le ridotte dimensioni della stanza e che i colpi ‘mortali’ sono avvenuti in sequenza molto rapida”. Calafato, ora supportata dalla sentenza di assoluzione ha ricordato anche come non sia possibile ipotizzare il concorso morale per Simone perché questo ha rilievo penale sono se serve a rafforzare o determinare il delitto da parte di un altro, ma la presenza di Simone è stat ininfluente rispetto ai colpi di matterello sferrati da Alessio fra l’altro in un’azione molto rapida”.
Quasi certo il ricorso contro l’assoluzione di Simone da parte dei parenti di Pasquale Scalamandré che, tuttavia, da solo non avrebbe alcun valore in sede penale ma solo ai fini risarcitori nei confronti delle sorelle della vittima.
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