Genova. Continua a far discutere la normativa introdotta dal cosiddetto ‘decreto anti rave’, il primo provvedimento scritto e promulgato del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni e che punta a punire con rinnovata severità le ”invasioni su terreni privati e pubblici per raduni pericolosi”.
Dopo i dubbi di molti costituzionalisti su un testo che sembra aver potenziali incompatibilità con la Carta costituzionale e che, per come è scritto, stabilisce in maniera troppo indeterminata la fattispecie di reato, molti dubbi arrivano anche dal mondo degli avvocati penalisti, che presumibilmente, con questo decreto dovranno ‘lavorare’.
“La prima cosa che salta all’occhio è quella dell’introduzione di una norma in realtà già presente e utilizzata nel nostro codice penale – osserva l’avvocata penalista Laura Tartarini, veterana della difesa di movimenti, sindacati e attivisti – una norma contenuta del articolo 633 che per quella fattispecie di reato prevede pene pecuniarie e il carcere da 2 a 4 anni se viene effettuata da più di cinque persone”. Una pena peraltro ritoccata al rialzo solo recentemente dai decreti Salvini del 2018.
E poi l’arbitrarietà che viene introdotta con la vaghezza dei termini utilizzati: “Si parla di un situazione che possa determinare un pericolo per l’ordine, l’incolumità e la salute pubblica – sottolinea Tartarini – Chi viene chiamato a determinare che cosa mette in pericolo sono le autorità amministrative, quindi oltre all’aumento di pena, hanno fatto una norma che fa diretto riferimento ad una autorità che non è il giudice penale ma che è il prefetto o l’autorità amministrativa”.
In altre parole in questo decreto potrebbe finirci anche altro? “Certamente, dai presidi di protesta dei lavoratori, come ad esempio quello recentissimo dei lavoratori Ansaldo in aeroporto, al classico sit-in in un parco pubblico per protestare contro l’abbattimento di un albero. A decidere se questi saranno eventualmente ‘raduni pericolosi’ saranno il prefetto,il questore o il sindaco”.
“Nulla di nuovo – aggiunge Laura Tartarini – Questo provvedimento è nel solco di quanto già fatto in questi anni dai diversi governi che si sono succeduti e che ha visto normative che di fatto ‘amministrativizzano’ il codice penale, ponendo in mano ai sindaci la possibilità di regolare e ‘normare’ i comportamenti dei cittadini. Basta vedere le leggi per il decoro urbano di Minniti prima e di Salvini poi. Un percorso che tende a far diventare le città, i luoghi di aggregazione e la socialità una questione che si deve esprimere solo in determinate forme che non ‘disturbino’ e che siano predeterminate dalle autorità amministrative”.
Ma dal punto di vista pratico, le pene previste da questo decreto sono proporzionate rispetto al resto del codice penale? “Le pene intese in questo decreto sono incredibilmente alte, con un minimo che è superiore a reati contro la persona anche gravi come le molestie sessuali, che prevedono pene fino a sei mesi di reclusione, o il sequestro di persona che è punito con un minimo di un anno, quindi più basso rispetto al decreto anti rave, e un massimo di dieci”.