Doccia fredda

Morte Martina Rossi, semilibertà ad Albertoni e Vanneschi: per il padre della ragazza “un premio non meritato”

Undici anni dopo la morte della 20enne genovese che cadde da un balcone per scappare a uno stupro, Bruno Rossi non si ferma: "Ora un'associazione nel nome di mia figlia"

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Genova. Dopo anni di disperazione, fatica, ansia di giustizia i genitori di Martina Rossi tornano a sentire in bocca un sapore amaro e appena poche ore dopo quella che sembrava essere stata, finalmente, al chiusura di un ciclo.

Il tribunale di sorveglianza di Firenze a disposto lo stato di detenzione in regime di semilibertà per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi condannati in via definitiva a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo ai danni della studentessa genovese di 20 anni morta nell’estate del 2011 cadendo dal balcone dell’hotel Santa Ana a Palma di Maiorca.

L’udienza si era svolta il 29 settembre scorso, ieri la decisione è arrivata in procura generale che ha emesso il provvedimento di esecuzione: Albertoni e Vanneschi si erano costituiti nel pomeriggio di venerdì al carcere di Arezzo dopo un anno in cui, nonostante la condanna a tre anni in Cassazione, avevano continuato a fare la propria vita, uno lavorando nell’azienda edile di famiglia l’altro praticando il motocross a livello agonistico.

Bruno Rossi, ex camallo del porto di Genova e padre di Martina, raggiunto dall’Ansa non nasconde tutta la sua amarezza: “La semilibertà concessa agli assassini di mia figlia è un mezzo premio non meritato. Sarei stato più felice se fossero rimasti in carcere e mi chiedo, quali lavori potranno fare? Uno correva in moto, l’altro non mi risulta abbia mai lavorato”.

“Sono profondamente rattristato ma almeno non hanno avuto i lavori di pubblica utilità, anche perché non hanno fatto niente per meritarselo”, sottolinea. E in effetti i due trentenni, attraverso i loro legali, avevano chiesto di essere dispensati in ogni modo da un regime detentivo ma non hanno ottenuto anche quel bonus.

La battaglia di Bruno Rossi, supportato dai lavoratori portuali del Calp di Genova, non si ferma. “La mia battaglia per cambiare le leggi che permettono ciò anche per certi reati. A novembre lanceremo l’associazione Martina Rossi assieme ad alcuni giuristi”, ha detto all’Ansa.

Il papà di Martina ha aggiunto: “Comunque, sapendo che dovranno stare in carcere, ho potuto dare una fine ad una lotta di undici anni ed è la dimostrazione che le mie battaglie sono state giuste anche perché le ho fatte per una cosa bella, per avere giustizia e quando guardo la foto di Martina alla sera ora sono più sereno e più tranquillo e le dico ‘almeno in prigione ci sono entrati'”.

Ma la voglia di cambiare le cose rimane. “Voglio che quello che mi è successo non possa accadere a nessun altro. Persone così devono pagare, anche dal punto di vista economico. Ho aspettato tanto tempo e questo è un piccolo ritorno alla normalità. Da quando ho perso Martina è tutto brutto, tutto non risolto ma adesso si vede come le cose fossero semplici”.

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