Dici “engari” e subito sorge una domanda: che cosa sono? Semplicissimo (per chi lo sa, personalmente sino a pochi giorni or sono ne ignoravo l’esistenza): sono delle erbe spontanee, conosciute in Liguria come “spinacio selvatico”, per via delle somiglianze dovuta all’appartenenza alla stessa famiglia, quella delle Chenopodiaceae (lo spinacio che mangiamo oggi, però, arriva attorno in Europa attorno al 1000, proveniente dalla Persia).
Il suo nome scientifico (bonus-henricus) è stato assegnato da Linneo per onorare Enrico IV di Navarra, chiamato dai francesi “Le bon Henry”, che, tra l’altro, fu un protettore dei botanici. Altri testi propongono un’altra etimologia, più antica, in riferimento al dio della casa “Enrico”, probabilmente perchè queste piante crescono facilmente vicino alle abitazioni.
A questo punto qualcuno penserà cosa c’entrano gli engari con i Sapori Ligustici. Domanda lecita, ma di facile risposta: sono i protagonisti di uno dei piatti più buoni della cucina delle Alpi Liguri, la Cucina Bianca della civiltà silvo pastorale, quelle delle malghe e dei piccoli borghi di montagna. Sono, infatti, i protagonisti dei “ravioli di engari” o dei “ravioli della transumanza delle Alpi Marittime”, secondo la definizione di Renato Grasso, chef che custodisce le antiche tradizioni culinarie della Terra Brigasca.
La sua ricetta prevede gli engari, mescolati con altre erbe selvatiche come le punte di luppolo (bruscandoli), la pimpinella, il tarassaco, uova e formaggio, da condire con burro uso e parmigiano. Agostina e Patrizia Alessandri, della Trattoria Da Maria a Cosio d’Arroscia, ne fanno una versione più “spinta”, con una maggiore dose di engari, conditi però con un leggero sugo di pomodoro.
Probabilmente, ma è solo un’ipotesi, un tempo il condimento era a base di panna e porri selvatici, vista la mancanza di pomodoro e il limitato consumo di burro, ma in ogni caso i ravioli di engari arrivati sino a noi sono un grande piatto della storia della cucina della transumanza, da abbinare ad un vermentino o, ancora meglio, ad un ormeasco scia-a-trà, vino dell’Alta Valle Arroscia pieno di storia e gusto ligure.
“Liguria del gusto e quant’altro” è il titolo di questa rubrica curata da noi, Elisa e Stefano, per raccontare i gusti, i sapori, le ricette e i protagonisti della storia enogastronomica della Liguria. Una rubrica come ce ne sono tante, si potrà obiettare. Vero, ma diversa perché cercheremo di proporre non solo personaggi, locali e ricette di moda ma anche le particolarità, le curiosità, quello che, insomma, nutre non solo il corpo ma anche la mente con frammenti di passato, di cultura materiale, di sapori che si tramandano da generazioni. Pillole di gusto per palati ligustici, ogni lunedì e venerdì: clicca qui per leggere tutti gli articoli.