Genova. Che nulla sia più come prima è fuori di dubbio. Che la colpa in buona parte sia nostra, anche. A evidenziarlo è Andrea Giuliacci, noto meteorologo e climatologo, tra le voci più attive della comunità scientifica nella sensibilizzazione sui temi del cambiamento climatico. Dopo l’ondata di maltempo estremo che ieri ha colpito la Liguria e diverse altre regioni, lo abbiamo contattato per avere un quadro più preciso di quello che sta accadendo. E per capire come si può reagire, anche e soprattutto a livello locale, a fenomeni sempre più estremi e pericolosi per la vita delle persone.
I temporali delle scorse ore, associati a episodi di downburst di straordinaria potenza, sono eventi “normali” di fine estate o si devono attribuire al cambiamento climatico?
Anzitutto spieghiamo i termini: il downburst non è altro che una forte raffica di vento. A differenza della tromba d’aria, che è un mulinello, si tratta di un blocco d’aria che cade molto violentemente dal cielo e può fare notevoli danni. Può accadere durante temporali violenti. Possiamo dire che quei temporali sono da attribuire al cambiamento climatico? Non possiamo dirlo con certezza. Ma possiamo dire con certezza che è colpa del cambiamento climatico se questi fenomeni avvengono con frequenza sempre maggiore. Il fatto che in atmosfera ci sia più calore rispetto al passato contribuisce a generare temporali più violenti. Più calore in atmosfera significa più energia a disposizione dei fenomeni atmosferici. Può darsi anche col clima di 50 anni avremmo assistito a temporali così violenti, ma il fatto che stiano diventando la normalità è sicuramente indice di un cambiamento. Purtroppo in futuro dovremo attenderci sempre più spesso fenomeni di questo tipo.
Perché?
Abbiamo visto cosa è successo nel corso degli ultimi decenni. Man mano che le temperature medie salivano, ecco che i temporali violenti sono andati aumentando. Fenomeni che stiamo vedendo quest’estate e negli ultimi anni erano impensabili 40-50 anni fa. Allora sarebbero stati definiti come eccezionali. Lo stesso discorso vale per le temperature. L’estate appena trascorsa probabilmente risulterà la seconda più calda di sempre dopo quella del 2003. In realtà il bimestre giugno-luglio 2022 sarà il più caldo di sempre, ma nel 2003 il mese più caldo fu agosto, mentre quest’anno lo è stato molto meno. Ma se andiamo a cercare quali sono le estati più calde nella storia, vedremo che sono tutte concentrate nell’ultimo decennio. Tutto il clima italiano sta rapidamente cambiando, in linea col resto del pianeta. Ed è virtualmente certo che la maggior parte di questi cambiamenti – più del 50%, ma potrebbe essere anche il 95% – è dovuto alle emissioni di gas serra.
Vuol dire che “la frittata è fatta” o c’è ancora la possibilità di invertire la tendenza?
La frittata è fatta? No. Si può invertire tendenza in pochi anni? Allo stesso modo no. La scienza ci dice che oggi, allo stato attuale delle nostre conoscenze, se saremo bravi a ridurre notevolmente le emissioni di gas serra e a raggiungere la quasi neutralità climatica (tanto si emette quanto si assorbe), allora per la fine del secolo si invertirà la tendenza e le temperature inizieranno a diminuire per avvicinarsi alla normalità. Ma in ogni caso, anche se fossimo rapidissimi a fare questo, è probabile le temperature continueranno ad aumentare di qualche decimo di grado per i prossimi vent’anni. Nello scenario peggiore, se ce ne infischiassimo totalmente e aumentassimo ancora le emissioni, avremo un aumento delle temperature medie di oltre 4 gradi. Tuttavia, nel breve periodo, ad agire non è tanto il gas serra che emetteremo in più ma tutto ciò che abbiamo già emesso, che è molto più di quello che potremo emettere l’anno prossimo. Se vogliamo che il clima non cambi in maniera drammatica per i nostri figli e nipoti, dobbiamo lavorarci già adesso. E, oltre alle politiche di mitigazione, abbiamo un’urgenza maggiore, che è quella dell’adattamento.
In che modo possiamo adattarci?
Faccio un esempio. Se costruisco un caseggiato vicino a un torrente e so che ogni 200 anni esonda, posso anche accettarlo. Ma se l’esondazione inizia ad avvenire ogni 5 anni, anziché ogni 200, va ripensato il modo in cui si gestisce il territorio. Altro esempio. Sappiamo che le temperature medie aumenteranno, in città si produce calore e qualche città sta iniziando a diventare troppo calda. Alcuni studi dimostrano che per abbattere il calore nelle città basterebbero misure semplici e banali: fare in modo che i tetti e gli asfalti siano chiari in modo che riflettano la luce solare. Se il tessuto urbano è meno caldo, si scalda meno anche l’aria. Allo stesso modo sappiamo che, quando cade tantissima pioggia tutta assieme, possono arrivare fortissime raffiche di vento. Se si pensasse prima a strutture in grado di resistere al vento, avremmo meno danni e meno pericoli per le persone. Negli Stati Uniti hanno a che fare da sempre coi tornado, che poi sono la stessa cosa di una tromba d’aria. Ora sono aumentati, passando da 400-500 all’anno negli anni Cinquanta a 1.000-1.200 negli anni Duemila. Grazie a una rete di particolari radar sul territorio hanno sviluppato un sistema di allerta che dà 15 minuti di preavviso alla popolazione. Magari non si salvano le case, ma per salvare la vita delle persone 15 minuti possono fare la differenza.
Esiste secondo lei un problema di sottovalutazione del rischio? Ieri in Liguria era in vigore l’allerta gialla, ma a molti è sembrata una valutazione sottostimata rispetto agli eventi, mentre l’assessore regionale alla Protezione civile ha sottolineato che quel temporale rientrava nel quadro previsionale.
Negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi e gli enti locali sono molto più sensibili a questi aspetti. Tutto sommato, stanno facendo il possibile. Il problema maggiore è a livello di percezione generale. Se c’è allerta rossa e spunta il sole, vale la pena rischiare la vita per andare a farsi una passeggiata? È vero che nove volte su dieci non succede niente, ma questo non significa che non esista comunque una probabilità. Bisognerebbe dare più ascolto alla Protezione civile quando ci avvisa dei pericoli. Questo nasce dal fatto che in Italia non eravamo abituati ad avere a che fare con certi eventi. Esiste un deficit di conoscenza, soprattutto nelle persone di una certa età, cresciute con un altro clima, che non si possono raggiungere con la scuola. Per questo sono importanti le campagne di educazione su tutta la popolazione. Non possiamo più pensare all’Italia come ad un Paese con un clima dolce, dove gli eventi meteo estremi sono rari. Oggi non è così.
Tre anni fa lei spiegò in un’intervista a Genova24 perché la Liguria è più esposta di altre regioni al rischio alluvionale e perché il surriscaldamento del mare favorisce le piogge estreme. Potremmo diventare una sorta di “regione laboratorio”, dove si anticipano le tendenze climatiche generali e quindi anche le misure di prevenzione?
Un maggior numero di eventi da studiare ci permette di capire meglio i cambiamenti in atto. La Liguria è una regione particolarmente esposta e permette di toccare con mano questi fenomeni. Ma in realtà in Italia non ci sono regioni che si possono definire veramente al sicuro. Basti pensare a quello che è capitato nel 2001 nel Catanese: nei primi 7-8 mesi dell’anno non è caduta una goccia di pioggia, in estate il problema erano gli incendi, a ottobre in pochi giorni è caduta la pioggia di un anno intero. Se si va a vedere il dato annuale sembra tutto normale, ma la realtà è tutt’altra.