Roma. È il giorno della verità per il governo Draghi. Il presidente del Consiglio sarà alle 9.30 al Senato per comunicazioni, il voto di fiducia è atteso in serata. Si aprono nuovi spiragli per la risoluzione dell’impasse: in serata i leader del centrodestra (tranne Giorgia Meloni) hanno chiesto al premier di farsi garante dell’unità nazionale e di respingere come irricevibili 7 delle 9 proposte avanzate nei giorni scorsi dal M5s al premier.
Sarebbe questa, insomma, la chiave per indurre Draghi a restare: escludere il Movimento 5 Stelle o almeno l’ala più vicina a Giuseppe Conte. Cioè quella che in Liguria rappresenta la corrente di maggioranza, almeno per quanto riguarda i vertici locali.
Nelle scorse ore è stato chiarissimo su Facebook il coordinatore regionale Roberto Traversi, unico parlamentare ligure rimasto nel movimento dopo le varie scissioni: “Nella congiunta ho espresso il vivo desiderio di non far parte di nessun tipo di governo, non ci sono più le condizioni – ha scritto pubblicando una sua foto insieme a Giuseppe Conte -. I finti alleati sono sempre più spregiudicati, usano nei nostri confronti toni sempre più aggressivi e fanno bene perché sanno che non siamo la stessa cosa. I nostri che volevano farci diventare come gli altri se ne sono andati, altri speriamo che se ne vadano di corsa, noi abbiamo da fare tante cose per i cittadini italiani”.
Frase che sembra preludere a una nuova fuoriuscita di massa dal M5s, quella dei parlamentari “governisti” vicini al capogruppo alla Camera Davide Crippa che sarebbero pronti a votare la fiducia al governo Draghi, abbandonando così il gruppo pentastellato. In questo modo il premier avrebbe una maggioranza inferiore a quella iniziale, ma comunque abbastanza larga da garantire la governabilità senza subire condizionamenti dai partiti.
Intanto il Senato ha deciso che oggi alle 9.30 sarà prima l’Aula a parlare. Il premier farà il suo intervento e attenderà le risposte dagli dei partiti per poi decidere. I tempi del dibattito non sono stati contingentati, forse proprio per prendere tempo in vista del verdetto finale. In ogni caso quella che attende Mario Draghi è sostanzialmente una fiducia al buio. E non è detto nemmeno che la sola maggioranza basti per evitare la conferma delle dimissioni (la settimana scorsa non è stato così).
Da Genova il capogruppo del M5s a Tursi, Luca Pirondini, conferma una linea espressa già ai tempi dello strappo operato da Di Maio: “Se non accolgono nulla di quello che proponiamo, non vedo gli estremi per stare nel governo. C’è un continuo attacco al reddito di cittadinanza che è diventato il problema del Paese, mentre pensavamo che il problema fossero le mafie e le corruzione. Il Movimento 5 Stelle nell’ultimo anno e mezzo ha digerito anche troppo”.
Ma la spaccatura potrebbe attraversare anche il campo largo che vede il M5s alleato (all’opposizione) del centrosinistra in Liguria e a Genova. Resta in silenzio per ora il capogruppo regionale Fabio Tosi, mentre Pirondini osserva: “Tendenzialmente l’asse resterà, poi è chiaro che le dinamiche nazionali saranno preminenti: se dovesse esserci uno strappo enorme, sarà difficile continuare a collaborare a livello locale“.
Intanto attacca dall’opposizione Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia (partito la cui posizione anti-Draghi è fonte di tensione nella maggioranza di Marco Bucci) resta solitaria all’opposizione e solitaria a pretendere il voto subito: “Ecco perché le stanno tentando tutte per evitare di tornare subito al voto – scrive sulla sua pagina Facebook, postando un recente sondaggio di Swg che dà FdI al 23,8% -. Ecco spiegato perché la sinistra ha così paura delle elezioni”.