Il punto

Ucraina, il flusso dei profughi si è quasi interrotto ma trovare lavoro resta difficile e c’è chi torna in patria

A quasi tre mesi dall'inizio del conflitto la Asl3 ha rilasciato quasi 2500 tessere sanitarie temporanee ma solo poche unità negli ultimi giorni

Arrivati i profughi Ucraini da Mariupol

Genova. La guerra in Ucraina prosegue, sempre più complessa, sempre più difficile da seguire e comprendere, ma il suo riflesso più immediato sul nostro territorio, ovvero l’arrivo dei profughi e la gestione della loro accoglienza, a quasi tre mesi dalla deflagrazione del conflitto è molto più silenzioso rispetto ad appena qualche settimana fa.

Dalle istituzioni che si occupano a vario titolo dell’accoglienza la conferma che il flusso degli arrivi ha rallentato fino a praticamente fermarsi. Se nei primi giorni, attraverso pullman organizzati da volontari, con mezzi propri o con corridoi umanitari messi a punto dalle associazioni, erano centinaia alla settimana le persone – soprattutto donne e bambini – catapultate da città come Kiev, Mariupol, Odessa, Leopoli, Kharkiv e da altri centri meno noti o regioni rurali sul territorio ligure, oggi le cifre si contano sulle dita di una mano.

Dall’inizio dell’emergenza gli ucraini presi in carico dal servizio sanitario genovese attraverso la protezione civile, uno dei possibili indicatori degli arrivi anche se non del tutto corrispondente alla realtà (molte persone arrivano e non si rivolgono alle strutture sanitarie), sono stati 2650. In tutto, a Genova, sono stati rilasciati 2475 codici Stp, cioè tessere sanitarie provvisorie. Sono questi i numeri ufficiali forniti da Regione.

“Oggi parliamo davvero di numero molto bassi – afferma Giacomo Zappa, responsabile del programma emergenza Ucraina di Asl3 – nelle ultime 24 ore abbiamo assistito 14 persone per la richiesta di Stp, ieri erano state 17, il giorno prima 9 persone ma nelle settimane passate eravamo spesso a numeri a tripla cifra”.

La Asl3 non ha ridotto le strutture a disposizione, che restano comunque attive anche per altri obbiettivi. Il centro di riferimento per i profughi del conflitto ucraino resta villa Bombrini che resta anche sede gestionale di servizi della struttura che si occupa dell’emergenza, ha come braccio operativo anche la Sala chiamata del porto. Ovviamente si tratta di un sistema di tipo flessibile.

“Una cosa che vorrei sottolineare, a diversi mesi dall’inizio del conflitto – continua Zappa – è che tra i profughi che si sono sottoposti a tampone, era un obbligo farlo nelle prime 48 ore, è stato registrato un tasso di incidenza del covid estremamente più basso rispetto ai contagi dell’area genovese, forse per via di una minore circolazione del virus nelle loro città di provenienza”.

La consistenza dei profughi ucraini in arrivo è interessata da una stabilizzazione e anzi, sono molte le persone che hanno iniziato a lasciare Genova e la Liguria per trovare opportunità lavorative o sistemazioni in altre città italiane ma ancora più spesso in altri Paesi europei, specialmente nel nord Europa.

C’è anche chi sta tornando in patria – dice Vitaly Tarasenko, cappellano della comunità ucraina – per quanto riguarda i contatti presi dalla nostra comunità, presso la chiesa di Santo Stefano, ci sono almeno una trentina di persone che hanno deciso, razionalmente, di rientrare in Ucraina”. Il motivo è soprattutto di tipo economico e lavorativo.

“Ormai si è capito che la guerra durerà molti mesi – prosegue il religioso – e quindi c’è chi si è reso conto di non avere disponibilità di liquidi sufficiente a mantenere una famiglia lontano da casa ancora per molto, coloro che vivono in città non ancora bombardate o dove non si trovino obbiettivi sensibili hanno deciso di tornare, poi ci sono altre persone, i dipendenti pubblici, o almeno quelli fra loro che non possono lavorare da remoto, sono stati invitati a tornare dal governo ucraino”.

Tarasenko conferma che da due settimane il flusso delle persone si è ridotto. Al massimo una ventina al giorno quelle che si rivolgono all’associazione ma che magari arrivano da altre città italiane o cercano un passaggio per altre destinazioni. Ultimamente gli arrivi sono relativi a famiglie con bambini con bisogno di cure e “che quindi arrivano a Genova perché sanno che c’è una struttura come il Gaslini”.

Uno dei problemi per chi arriva, o chi resta, al momento è quello di trovare un lavoro. L’Ue ha dato il via libera all’applicazione della direttiva per la protezione temporanea degli sfollati creata nel 2001 per accogliere in modo regolare i profughi della guerra nei balcani. Fino a oggi però non era mai stata applicata. In base alla legge gli ucraini hanno diritto a un permesso di soggiorno immediato che consente loro anche di lavorare. La durata è di 1 anno, prorogabile fino a tre.

Tuttavia non è così semplice lavorare se si è una madre sola – gli uomini sono obbligati a restare in Ucraina – e con dei bambini piccoli da gestire. Quindi chi pensava che sarebbe stato semplice occupare i profughi in settori a grande offerta di posti come l’assistenza agli anziani o nel turistico-ricettivo, non ha tenuto conto della difficoltà organizzativa.

L’altro motivo per cui molti profughi scelgono di partire per altri Paesi, soprattutto per il nord Europa, è la lingua. Gli ucraini, oltre a parlare la loro lingua e spesso il russo, conoscono in media molto bene l’inglese, ma questo non basta in Italia – dove la conoscenza dell’inglese è invece scarsa – per trovare facilmente un lavoro.

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