Verso l'appello

Omicidio San Biagio, la Procura ricorre in appello e chiede una pena più alta per Simone Scalamandré

Per il pm l'attenuante della "minima importanza" nella commissione del delitto non regge: "Sono entrambi responsabili"

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Genova. A pochi giorni dal deposito delle motivazioni della sentenza con cui Alessio e Simone Scalamandré sono stati condannati per l’omicidio del padre Pasquale nella loro abitazione di San Biagio in Valpolcevera, il sostituto procuratore Francesco Cardona ha depositato il ricorso in appello solo contro il più giovane dei due, che ha ottenuto una condanna inferiore (14 anni contro i 21 del fratello Alessio) grazie all’attenuante del contributo della “minima importanza” nell’esecuzione del reato, prevista dall’articolo 114 del codice penale.

Per il pm la motivazione con cui è stata concessa l’attenuante sarebbe “contraddittoria e illogica” visto che secondo lui la sentenza evidenzia pienamente la “responsabilità in concorso dei due fratelli”. Nelle otto pagine di appello, concentrate su quell’unico punto, Cardona riprende i passaggi della sentenza che evidenziano la partecipazione di Simone all’omicidio del padre, dall’analisi della scena del crimine fatte dal consulente del pm, alla doppia arma del delitto (il matterello e il cacciavite), dalle macchie di sangue analoghe sulla maglietta di entrambi alle intercettazioni e agli altri elementi che farebbero pensare che i ragazzi si siano accordati perché Alessio si assumesse ogni responsabilità.

In effetti, Alessio, difeso dall’avvocato Luca Rinaldi, dopo la confessione era stato arrestato e si trova tutt’ora ai domiciliari, mentre Simone, difeso dall’avvocato Nadia Calafato, non è mai stato sottoposto a misura di custodia cautelare. Per la Procura, se anche fosse vero, come sostenuto da sempre dai ragazzi ,che Simone è arrivato mentre la rissa tra il fratello maggiore e il padre era già cominciata, “non è assolutamente incompatibile con il suo successivo pieno e attivo coinvolgimento nel violento scontro quando la discussione è degenerata” scrive.

Uno dei principali elementi valutati dalla Corte d’assise per la concessione dell’attenuante è l’intercettazione di Simone del 15 agosto 2020, cinque giorni dopo l’omicidio, con una collega di lavoro dove il ragazzo ammette di aver partecipato al pestaggio ma non aver sferrato i ‘colpi di grazia’. “Se l’affermazione di non aver partecipato ai ‘colpi di grazia’ può essere interpretata secondo un intento sminuente del proprio ruolo – scrive però il pm – tuttavia la stessa scelta dei termini utilizzati rivela certamente oltre l’intenzione del dichiarante – una sua partecipazione non marginale nello scontro fisico indicando come proprio limite solo gli ultimi colpi letali, a por fine alle sofferenze di cui lo stesso Simone era stato compartecipe”.

Per questo secondo la procura l’attenuante deve essere esclusa.

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