Le motivazioni

Omicidio di San Biagio, i giudici: “Nessuna attenuante per Alessio, ha ucciso il padre a colpi in testa quando era già privo di sensi”

Nelle 147 pagine della sentenza di condanna per Alessio (21 anni) e Simone (14) pesanti accuse alla madre: “Ha riversato sui figli responsabilità abnormi, chiedendo loro di risolvere la situazione”

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Genova. Alessio Scalamandré, “con il pur minimo contributo del fratello Simone, ha ucciso il padre prendendolo a colpi in testa con un utensile di legno, sfondandogli il cranio dopo che questi era rimasto tramortito e dunque privo di sensi oltre che di ogni residua capacità di reagire, in preda a un incontenibile, furioso, impeto di violenza, non più sostenuto, neanche lontanamente, da un pur originario fine potenzialmente difensivo”. Lo scrive la Corte d’assise di Genova nelle motivazioni della sentenza con cui ha condannato Alessio Scalamandrè e il fratello Simone, rispettivamente a 21 e 14 anni di reclusione per l’omicidio del padre Pasquale avvenuto nella loro casa di San Biagio in Valpolcevera, il 10 agosto 2020. Ventiquattro i colpi sferrati, di cui sei mortali, utilizzando un mattarello di legno e un cacciavite.

Nelle 147 pagine di sentenza la corte ricostruisce la vicenda e il contesto famigliare che ha portato all’omicidio e chiarisce perché ha rigettato tutte attenuanti (ad eccezione delle generiche) chieste dai difensori. Per i giudici l’attenuante della provocazione avrebbe potuto configurarsi se le lesioni fossero state solo quelle procurate ‘a caldo’, cioè nella fase iniziale della rissa – dice la Corte – ma che “di certo risulta priva di ogni immediatezza rispetto all’azione omicidiaria maturata quando la vittima era già priva di sensi”. Inoltre, non si può invocare la legittima difesa come nel caso del parricidio di Torino che ha portato all’assoluzione in primo grado di Alex Pompa, che avrebbe ucciso il padre per difendere la madre che si trovava nel luogo dove era avvenuto l’omicidio, visto che la madre di Alessio e Simone era in un luogo lontano e al sicuro.

Pasquale Scalamandré, ex autista Amt in pensione, era stato accusato dalla moglie di maltrattamenti a dal gennaio di quell’anno era stato allontanato dalla casa di famiglia. La donna, visto che lui faceva di tutto per cercare di trovarla, era stata collocata in una struttura protetta in Sardegna. Il pomeriggio dell’omicidio Pasquale Scalamandrè era d’accordo con il figlio per vedersi a casa dei ragazzi, nonostante il divieto: voleva chiedere ad Alessio di modificare la denuncia nei suoi confronti in vista dell’udienza che si sarebbe tenuta a settembre. Tra i padre e Alessio era nata una discussione, ben presto trasformatasi in rissa e poi in un violento omicidio a cui, secondo quanto emerso dalle indagini ha partecipato – seppur in misura minore – anche Simone, il fratello più piccolo.

Alessio, secondo i giudici ha sfogato sul padre “anni di frustrazione per lo scomodo e inappropriato ruolo di mediazione cui gli eventi l’anno suo malgrado costretto e nel contempo, l’incapacità di risolvere la situazione, come pure la madre inopportunamente e sciaguratamente lo pressava a fare, senza manifestare la minima sensibilità nei confronti di Alberto e del fratello, affinché fossero loro a risolvere un problema del quale in realtà avrebbe dovuto farsi carico lei stessa”.

Alla madre dei due ragazzi la sentenza dedica diverse pagine e assegna anche una pesante responsabilità ‘morale’. La madre – dicono i giudici – assegnava a Simone e Alessio “anche da lontano un ruolo di intermediari che i figli non avevano alcun titolo, strumento e capacità per poter esplicare, tributando loro una responsabilità abnorme che non rientrava tra i loro compiti, finendo per creare solo una forte pressione e delle aspettative che unitamente a quelle di segno opposto del marito, sono poi sfociate di fatto nel traffico epilogò, pur senza che sia emerso il riscontro di un qualche collegamento eziologico tra quelle e quest’ultimo”.

Nella sentenza vengono in particolare citati messaggi e vocali in cui la madre, che in Sardegna si sentiva sola e isolata chiede ai ragazzi, in particolare ad Alessio: “Fatemi tornare, sapete voi come…”. suggerendo di fatto ai ragazzi di denunciare il padre per la violazione del divieto di avvicinamento all’abitazione di famiglia in modo che venisse arrestato. E in un altro messaggio vocale aveva detto al figlio Simone : “Quest’uomo deve pagarla in tutti i modi, tutti”.

Adesso gli avvocati di Alessio e Simone, Luca Rinaldi e Nadia Calafato, a cui sarà associato anche Andrea Guido, hanno 45 giorni per presentare appello dove verranno riproposte tutte le questioni già sollevate in primo grado a partire dalla legittimità costituzionale, della norma introdotta dal Codice rosso (che tutela il vicolo di parentela impedendo che la maggior parte delle attenuanti prevalgano sulle aggravanti). La questione, sollevata dall’avvocato Rinaldi, era stata poi ripresa e sostenuta dallo stesso pubblico ministero Francesco Cardona, ma è stata rigettata dalla corte d’assise come “un’operazione ‘creativa’” preclusa alla Corte costituzionale.

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