In piazza

“Nessuna pace per chi vende morte”: il 2 giugno a Genova nuovo corteo contro tutte le guerre

Contro il business delle armi, che sarebbe strettamente collegato ai controllo delle frontiere e alla 'selezione' dei migranti che possono ottenere rifugio

Manifestazione Calp e chiesa contro navi guerra

Genova. “Dai confini d’Europa organizziamo una resistenza non solo all’invasione Russa, ma alle guerre tutte e a chi se ne approfitta, disertando e rifiutandone le logiche. Prendiamo posizione, mettendo i nostri corpi di traverso, ostinati e contrari all’interesse di chi specula sulla vita altrui. Dai confini d’Europa chiamiamo alla mobilitazione, al boicottaggio e al sabotaggio di chi bombarda e vende armi, come di chi costruisce strumenti razzisti di selezione, controllo e repressione”. Si conclude così con un appello alla mobilitazione il lungo documento pubblicato dall’Assemblea contro la guerra, neonato collettivo politico che raccoglie diverse realtà a cominciare da Calp, Contropiano e Vedo Terra ma punta ad aprirsi, come già avvenuto in occasione della marcia della Pace, anche al mondo cattolico.

E se per definire confini e obiettivi dell’assemblea è stato fissato un incontro al Cap il 21 maggio, il primo appuntamento in piazza è già stato lanciato. Un corteo il prossimo 2 giugno, con partenza alle 14 dalla stazione marittima, per una protesta contro le guerre ma anche le frontiere.

“Questa chiamata è il primo atto di un nuovo fronte di resistenza, che ci impegniamo a portare avanti nel prossimo futuro come parte integrante della nostra lotta ai confini – scrivono gli organizzatori – Ci pare infatti quanto mai evidente in questo momento come le questioni del riarmo e delle migrazioni forzate siano strettamente interconnesse. Nei nostri porti e nelle nostre città vengono prodotti armamenti destinati a scenari di guerra in tutto il mondo. Queste guerre partecipate, alimentate e finanziate dai nostri governi, non fanno altro che produrre distruzione, miseria e povertà nei luoghi in cui vengono impiegate, provocando lo spostamento forzato e di massa di migliaia di persone. Di conseguenza, il business legato alle spese militari è causa diretta dell’inasprimento dei regimi di confine e delle misure di controllo e sicurezza interne, predisposte alla selezione differenziale delle persone che scappano da quegli scenari”.

L’atteggiamento dell’Europa dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ne è un esempio lampante: “Negli ultimi due mesi di guerra, decine di migliaia di persone ucraine hanno raggiunto diversi Stati membri e, attraverso la Direttiva della Protezione Temporanea per la prima volta applicata in Europa, hanno ricevuto un giusto permesso di soggiorno rinnovabile fino a tre anni. Questa immagine stride con quella di qualche mese fa dell’aeroporto di Kabul che ritraevano persone appese alle ruote degli aerei per uscire dal paese; come con quella delle barche lasciate alla deriva per giorni nel Mediterraneo e condannate al naufragio; delle persone torturate in Libia o ammassate nei campi formali e informali di Tripoli, sulle isole greche, lungo la rotta balcanica o nei boschi sul confine bielorusso-polacco. Oggi più che mai, la frontiera si manifesta su una differenzialità politica, operando una inclusione selettiva di chi può ricevere rifugio e chi no”. 

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