Ciao amici! prima di effettuare uno stop “didattico” al nostro progetto voluto e dovuto per poterci dedicare ai nostri lavori principali (poi torneremo eh, promesso), vogliamo regalarvi un’anticipazione di quello che sarà il nostro nuovo numero, che non abbiamo ancora ben idea di quando uscirà! E’ quasi terminato, quello si, ma abbiamo voluto davvero esagerare con le cose belle e, essendo solo in due ad operare, non è così facile!
Ma non vogliamo certo piangerci addosso! Il bello di tutto questo arriverà a tempo debito ed intanto vi raccontiamo una di quelle cose che da sempre abbiamo sotto agli occhi ma che non abbiamo mai tempo da dedicarci.
Con l’aggiunta del patrocinio del comune di Tovo San Giacomo ci siamo trovati a dialogare con una persona giovane e capace, appassionata delle sue radici, e che ha avuto modo di conoscere il nostro progetto tramite i social.
Federica Bosio, consigliere comunale con delega al turismo, ci ha permesso di far visita ad un luogo caro alla Val Maremola, ovvero il Museo dell’Orologio da Torre G.B. Bergallo, guidati dal suo curatore Sergio Bendo.
Essendo stato il 25esimo anniversario dall’apertura giusto il 6 aprile scorso, vogliamo raccontarvi la nostra esperienza.
IL PAESE DEL TEMPO
Ed è proprio qui, nel cuore della Val Maremola, dove possiamo scoprire un luogo singolare, dove il tempo viene ancora scandito da sonori ticchettii di altri tempi.
Siamo nel regno del tempo, nel Museo dedicato agli orologi da torre Giovanni Battista Bergallo. Un museo di quelli che sai che esistono ma dove non si è mai entrati; questo vale per noi di Due Zaini e Un Camallo per lo meno, ma siamo certi che anche per molti di voi sia lo stesso. Ad accoglierci c’è il signor Sergio Bendo, curatore dell’esposizione museale, ultima pietra miliare in grado di raccontarci in maniera precisa e appassionata questo mondo. Il primo passo che occorre affrontare è capire chi era G.B. Bergallo e Sergio ce ne parla con un velo di nostalgia: “Giovanni era un visionario, una persona intelligente e appassionata, amava ogni cosa che riguardava la meccanica e l’ingegneria. Studiava e si interessava di continuo al mondo che ruotava, nel vero senso della parola, attorno agli ingranaggi. Era un tipo che usciva poco e che trascorreva quasi tutto il suo tempo in bottega, dove affinava le tecniche per realizzare al meglio le sue creazioni, rendendole moderne e all’avanguardia. Non era sempre capito dalla gente ma mai si fece abbattere; tutto quello che abbiamo raccolto qui è solo grazie alla sua caparbietà e, diciamolo, generosità”.
Sergio e Giovanni Battista erano molto amici ed è proprio durante la vita trascorsa insieme che il sapere dell’orologiaio comincia a scorrere nelle vene di Sergio. Oggi è proprio lui ad occuparsi della manutenzione dei meccanismi e tutto quello che ci farà vedere lungo il percorso nel museo, è stato sistemato, lubrificato, collaudato e messo in funzione dalle sue sapienti mani. Prima di entrare a visionare l’esposizione che, con ben 11 sale disposte su due piani, conta 50 esemplari di orologi da torre, Sergio ci accompagna in un laboratorio adiacente al plesso.
“Questa è la stanza dove mi sono preoccupato di restaurare ogni singolo meccanismo presente al museo” ci indica con fierezza alcuni manufatti spiegandoci alcuni meccanismi basilari per un sistema perfettamente funzionante.
Ci colpiscono alcuni pezzi sparsi su di un tavolo da lavoro segnato dal tempo, dove ore e ore sono trascorse nel tentativo, brillantemente riuscito, di riportare a nuova vita pezzi risalenti ai primi del Novecento. Entriamo così nel cuore pulsante del museo, la sala principale, o sala degli eventi, dove il pezzo forte è un grande orologio a tre treni, in grado di riprodurre – quando collegato alle campane – diverse melodie. Ci sentiamo dei piccoli esploratori in quanto non avremmo mai pensato che questo mondo potesse rapirci così.
Inutile dire che in ogni luogo in cui veniamo accolti come ospiti, se a rapportarsi con noi sono persone che hanno dedicato e che dedicano tutt’ora la propria vita ad una passione, è impossibile non seguirle a ruota, immergendoci a capofitto nel loro mondo.
Vorremmo davvero essere capaci a farvi arrivare in egual modo tutte le sensazioni che viviamo noi durante le nostre esperienze, e speriamo in qualche modo di riuscirci! Durante la visita ci raggiunge Federica che resta in silenzio ad ascoltare storie che molto probabilmente conosce già.
Una bella storia però la si riascolta sempre volentieri!
Lungo il percorso di visita ci spostiamo da una sala all’altra udendo i ferri battere sugli ingranaggi nel prezioso atto di scandire i secondi, i minuti, le ore. Ad impreziosire la collezione degli orologi provenienti dalla donazione della famiglia Bergallo, molteplici sono i macchinari e gli strumenti di lavoro utilizzati dal maestro orologiaio durante il lungo periodo di attività: oltre a piccole parti di minuteria, si annoverano molteplici meccanismi e componenti come ruote, pignoni, perni, fiancate, lancette, carrucole, numeri, pesi di orologi da torre.
Si trovano anche pendole e orologi provenienti da abitazioni nobili, che si potevano permettere il lusso di disporre di tanta tecnologia (Queste sono donazioni private). Giovanni Battista Bergallo costruì orologi da torre nel periodo storico compreso fra il 1860 e il 1980 nella sua casa-officina di Bardino Nuovo in via San Sebastiano, dove si svolse tutta la fiorente attività manifatturiera. Figlio d’arte iniziò la sua carriera come produttore di meridiane ma, con la sua passione sfrenata, riuscì nell’impresa di diventare il miglior artigiano in questo campo. Si annoverano opere commisionate in tutto il Ponente ligure, il basso Piemonte, la Valle d’Aosta, la Valtellina e quella più lontana, nella Parrocchiale di Santa Cruz, in Patagonia.
In una sala al primo piano sono esposte alcune immagini che ritraggono Bergallo all’opera e alcune teche contengono appunti ed “istruzioni” riguardanti i suoi lavori.
Dovete sapere che al momento della sua morte, avvenuta nel 1996 all’età di 92 anni, senza lasciare eredi che potessero continuare l’attività artigianale, venne donato al comune anche tutto il materiale iconografico e documentario come appunti di lavoro, conti, preventivi, a completare ed impreziosire la testimonianza della sua vita lavorativa. Il museo venne istituito proprio nel 1996 e poi inaugurato il 7 aprile del 1997. Al momento dell’inaugurazione, il museo era il primo del suo genere in Italia al quale se ne sono aggiunti poi, nel corso degli anni, altri quattro sparsi per l’Italia.
Prima di salutarci e farci completare la visita tornando al piano terra, Sergio vuole ricordare il suo amico e compagno di passione, Zefferino Pollione, che io ho avuto occasione di conoscere per un singolare caso in cui fu ricoverato in ospedale nella stessa stanza di mio nonno, Zefferino di nome anche lui.
Prima di congedarci da Sergio, ci raggiunge Vincenzo Barlocco, che ci darà informazioni preziose sul territorio che terremo care per lo sviluppo del progetto.
“La rubrica del camallo” è a cura dell’associazione culturale “Due Zaini e Un Camallo” di Luca Riolfo e Valentina Staricco, volta alla promozione e alla riscoperta del patrimonio naturale e culturale della nostra regione, la Liguria. Seguici su instagram @_duezainieuncamallo_: clicca qui per leggere tutti gli articoli.