Recensione

Manon Lescaut al Carlo Felice: applausi alla prima e ovazioni per Riccardo Massi, eroe di serata fotogallery

Nonostante il fuori programma con il cambio in corsa del tenore, l'opera è stata apprezzata dal pubblico

manon lescaut

Genova. Nonostante l’intoppo del cambio di tenore letteralmente al volo, dopo l’abbandono inatteso nel corso del primo atto da parte di Marcelo Alvarez, la Manon Lescaut che ha debuttato ieri sera al Teatro Carlo Felice è stata portata a termine soddisfacendo il pubblico, a giudicare dagli applausi a fine recita.

Le ovazioni maggiori sono state per l’eroe della serata: Riccardo Massi, che avrebbe dovuto debuttare col secondo cast due giorni dopo, e che invece non ha fatto per nulla rimpiangere Alvarez, apparso onestamente non in serata, con probabili problemi già prima del “fattaccio” del fumo in scena. Massi – qualche problema al gomito rotto che ne ha limitato in modo minimo l’espressività nei movimenti – si è dimostrato sicuro sin dall’inizio, nonostante l’inevitabile mancanza di riscaldamento della voce. Al termine della rappresentazione si è inginocchiato sul palco verso il pubblico che lo acclamava. Belli i duetti con l’altra vincitrice della serata: Maria José Siri, che non ha sbagliato nulla, privilegiando la delicatezza al volume in certi momenti. Tutto il cast, gelato sul palco durante la scenata di Alvarez, se l’è cavata bene sino alla fine coro compreso anche nel ricominciare daccapo l’opera dopo la sostituzione in corsa (unico appunto: nelle prime scene l’orchestra sovrastava leggermente i cantanti): Massimo Cavalletti (Lescaut), Matteo Peirone (Geronte di Ravoir), Giuseppe Infantino (Edmondo), Gaia Petrone (il musico), Claudio Ottino (l’oste), Francesco Pittari (il lampionaio e il maestro di ballo), Matteo Armanino (il sergente degli arcieri), Loris Purpura (un comandante di marina).

A contribuire al successo musicale dell’opera il direttore Donato Renzetti, che ha condotto con grande maestria una Manon particolarmente attesa, visto che mancava da Genova dal 2008.

Scenografie grandiose quelle di Giò Forma e Davide Livermore, con uno sviluppo verticale e scale che hanno consentito di utilizzare tutti gli spazi anche in altezza. Livermore, che ha curato la regia, qui ripresa da Alessandra Premoli, ha deciso di spostare l’ambientazione in avanti, dal Settecento all’epoca in cui Manon fu scritta (1893) inserendo a inizio opera una piccola parte teatrale in cui un Renato Des Grieux, ormai molto anziano, nel 1954 torna a Ellis Island e ricorda tutta la sua tragica storia d’amore con la giovane francese. Funziona bene l’idea di inserire Roberto Alinghieri, nei panni del Des Grieux ottantenne, sulla scena mentre si muove lo stesso Des Grieux più giovane. Funziona meno ambientare l’ultimo atto, nell’originale in un deserto della Louisiana, nelle stanze della quarantena a cui erano obbligati gli emigranti proprio perché nel libretto ci sono espliciti riferimenti alla strada polverosa, alla sete che divora, a “nel profondo deserto io cado”. Le altre differenze sono più digeribili, come il treno a vapore invece del cocchio per l’arrivo di Manon, anche se colpisce la trasformazione della casa di Geronte in un bordello per sottolineare il fatto che Manon abbia preferito i soldi all’amore.

La spinta sul dramma dell’emigrazione viene accentuata da Premoli, che ha effettuato una ricerca su fotografie d’epoca, proiettate durante l’intermezzo musicale e nel finale, grazie al contributo della società di video design D-Wok.

 

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