Liguria. Pandemia covid e ora la guerra: come attrezzarci per far fronte allo stress? Ne abbiamo parlato in un’intervista per Genova24 con la dottoressa Lucia Di Guida, psicologa psicoterapeuta, terapeuta EMDR, specializzata nel trattamento del trauma, disturbi del comportamento alimentare, sessuologia clinica e psicologia digitale.
2 anni di pandemia, l’isolamento dovuto al lockdown e ora la guerra: come attrezzarci per far fronte a così tanto stress? Esistono strategie per non introiettare tutta questa sofferenza e quella che ogni giorno i media ci trasmettono con le immagini della guerra?
Esistono, anche se in alcuni momenti può sembrare veramente difficile gestire tutto ciò. Dopo un’esposizione a eventi stressanti, infatti, occorrerebbe una fase di recupero. Lo stato di emergenza prolungato che stiamo vivendo non ha consentito tale recupero andando a provocare malessere diffuso. Le informazioni e le immagini alle quali siamo continuamente esposti possono provocare sofferenza attraverso sentimenti di paura, rabbia, impotenza e senso di vulnerabilità. In queste condizioni dobbiamo avere ben chiaro quello che è alla base della terapia cognitivo comportamentale: le emozioni che proviamo dipendono da ciò che pensiamo, più che dalle caratteristiche delle situazioni in sé. Lo stress è il frutto di una doppia valutazione: prima valutiamo la situazione, il rischio, il peso della minaccia da affrontare e, dopo, valutiamo le personali risorse per gestire la stessa.
In questo momento dobbiamo, quindi, provare a incrementare le personali risorse di coping, ossia di gestione e fronteggiamento di ciò che stiamo vivendo, consapevoli di poter agire in maniera limitata sulla situazione, ma molto su noi stessi. Tra gli accorgimenti da tenere possiamo consigliare di evitare una sovraesposizione ai notiziari, dedicando magari uno o due momenti al giorno per raccogliere informazioni; l’esposizione continua alla mole di informazioni via TV, internet e radio alimenta il sistema d’allerta e la paura. Possiamo anche consigliare semplici comportamenti da adottare per incrementare la percezione di controllo, come ad esempio riposarsi, non interrompere la propria routine, mantenere cicli sonno- veglia regolari, passare del tempo con la famiglia e gli amici, fare attività che aiutino a rilassarsi (yoga, training autogeno, meditazione, leggere…), fare esercizio fisico, aiutare gli altri nel momento di crisi ed essere partecipi nelle attività della comunità. Se si ha la possibilità di farsi affiancare da un professionista, può essere utile apprendere delle tecniche di respirazione e rilassamento, tecniche di gestione dei pensieri o approcci basati sulla consapevolezza come la minduflness. È importante promuovere, infine, la comunicazione e la condivisione del proprio sentire per creare una narrazione, ordinare i pensieri e organizzare le emozioni negative.
Dal suo punto di vista professionale quale tipologie di malessere e disturbi vede in aumento e il numero di pazienti che chiedono aiuto sono incrementati?
In questi ultimi anni ho avuto modo di notare un incremento delle richieste di aiuto e del numero dei pazienti. Anche il confronto con altri colleghi conferma questo trend. Ciò è sicuramente dovuto a una maggiore diffusione del disagio e del malessere psicologico, ma anche al riconoscimento e una sensibilità maggiore verso tale problematica. Le richieste di aiuto sono di svariato genere, ma personalmente ho notato- a seguito della pandemia- che i disturbi più diffusi sembrano essere i disturbi del comportamento alimentare, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore (prevalentemente depressione) e disturbi ossessivi compulsivi. Ho percepito anche la diffusione di disturbi comportamentali basati ad esempio sulla difficoltà di gestione della rabbia, spesso l’altra faccia dell’impotenza e della tristezza. Da non trascurare anche una percentuale di persone portatrici di disagio connesso alla mancata elaborazione di lutti o situazioni traumatiche.
L’aumento del disagio manifesto, visibile già dal lavoro clinico in studio, è stato confermato anche da una ricerca condotta da me e una collega umbra, la dott.ssa Stefania Rubechi, nel periodo subito successivo allo scoppio della pandemia (marzo-giugno 2020) e presentata al congresso internazionale ICCP 2021: 10th International Congress of Cognitive Psychotherapy. Il nostro campione (191 soggetti) ha confermato i dati della letteratura, ossia che coloro che hanno mostrato maggiore preoccupazione per il COVID- 19 presentavano livelli più elevati di sintomi depressivi e ansiosi, un maggiore impatto dell’evento “pandemia” e un indice di benessere psicologico più basso.
Stanno arrivando i primi profughi, oltre al cibo e una casa di cosa possono avere bisogno dal punto di vista psicologico? Andrebbero aiutati ?
Assolutamente sì. Ormai è innegabile quanto l’essere umano abbia bisogno di soddisfare bisogni emotivo/psicologici e non solo quelli fisiologici. Queste persone hanno visto crollare l’illusoria percezione di sicurezza che ognuno di noi coltiva dentro di sé. Quello che stanno vivendo è un evento oggettivamente traumatico, intendendo con Trauma una condizione o situazione che ci fa confrontare con il rischio vita o integrità fisica propria o altrui. È fondamentale fornire supporto a queste persone per elaborare i ricordi traumatici e rinforzare le risorse personali per fronteggiare la crisi e il cambiamento. Alcune associazioni psicologiche si sono già mosse in tal senso. L’associazione EMDR EUROPE, ad esempio, si è subita attivata per fornire supporto in territorio ucraino e nei paesi che accoglieranno i profughi. Solitamente in questi casi forniamo supporto attraverso l’attivazione di campagne promosse dall’ordine professionale di appartenenza o attraverso l’associazione alla quale afferisco, l’Associazione per l’EMDR Italia, specializzata per interventi sulla comunità in situazioni di crisi ed emergenza.
Attacchi di panico, disturbi alimentari: sono in crescita anche tra gli adolescenti?
Premetto che io seguo prevalentemente adolescenti e adulti, quindi in questi ultimi anni, ho avuto modo di osservare da una posizione privilegiata il manifestarsi o l’acuirsi del disagio. Nella fase pandemica e durante il lockdown numerosi disturbi alimentari, prima magari sottosoglia, hanno fatto il loro esordio in materia prepotente e diffusissima. Anche i disturbi d’ansia e gli attacchi di panico, spesso rappresentano le punte dell’iceberg che consentono di smascherare una condizione di disagio che viene così all’attenzione del clinico. Nella mia pratica clinica ho notato un abbassamento dell’età media della richiesta di aiuto: i ragazzi vivono questa percezione di tempo sospeso, di vulnerabilità e mancanza di sicurezza in fase di vita già caratterizzata da incertezze e lotte interiori. Pur rilevando con dispiacere tale dato, mi consola e mi riempie di fiducia notare quanto spesso siano i ragazzi stessi a chiedere aiuto o a pretendere dai genitori di poter parlare con uno psicologo.
Aggiungo, infine, che -oltre a focalizzarci sul disagio attuale- occorre essere consapevoli e orientati sul medio/lungo termine. Il disagio che stiamo vivendo e vedendo ora è solo una parte di un sommerso che potrà avere conseguenze significative sulla salute mentale della popolazione. I drammatici eventi che stanno caratterizzando questo nostro tempo potranno rappresentare fattori predisponenti per disagi psicologici che emergeranno solo in futuro. Il suggerimento è quello di non trascurare e sottovalutare i primi segnali di disagio e consultare un professionista per affrontare tali condizioni o anche solo per incrementare risorse e fattori protettivi personali. Dedicarsi oggi alla cura del nostro funzionamento aiuterà le generazioni future e noi stessi che potremo godere di quella che viene definita “crescita Post traumatica” ossia la possibilità di arricchirsi e di trasformare un episodio negativo di vita in una trasformazione positiva.