Allo stremo

Peste suina, spreco di cibo e ristori insufficienti: in vista un futuro nero per gli allevamenti di maiali

"Grazie a tutti per la solidarietà ma la realtà per noi è ben più seria e grave", dice Stefano Chellini, titolare della cooperativa agricola Monte di Capenardo

suini

Genova. La peste suina africana, e le conseguenze che essa comporta, comincia a farsi sentire in modo sempre più preponderante. Pochi giorni fa la cooperativa agricola Monte di Capenardo (a Davagna, in alta val Bisagno) – che alleva bovini e maiali allo stato brado, le cui carni riforniscono anche la macelleria di proprietà in via Macelli di Soziglia – ha annunciato sulla propria pagina Facebook di stare per macellare 5 dei suoi 73 maiali e ha quindi lanciato l’iniziativa “maiale solidale”, ossia pacchi da 5 kg misti da vendere, in offerta, ai clienti. Ma ad oggi, come sottolinea Stefano Chellini, titolare dell’azienda, sono arrivate il triplo delle richieste preventivate, per questo sono stati costretti a non prendere più prenotazioni.

“Ricevere così tante prenotazioni, in così poco tempo, per noi è certamente positivo, infatti ringrazio per la solidarietà e vicinanza dimostrata da tanti clienti e non solo. Ma la realtà per noi è ben più seria e grave, dato il contesto”, continua Stefano.

Infatti, spiega poi: ” La verità è che il futuro, al momento, è nero. Saremmo costretti a chiudere gli allevamenti suini, svuotandoli completamente. E le bestie che non andranno al macello saranno abbattute. Su 73 capi in possesso, noi riusciremo a macellarne solo una ventina: tutto il resto è perduto. Infatti per noi e per tutte le aziende di allevamento come la nostra è un danno enorme, sia dal punto di vista emotivo ed economico – considerando che i ristori previsti non sono assolutamente sufficienti per contrastare la situazione – ma anche e soprattutto in termini di spreco di cibo“.

La peste suina ha colto tutti di sorpresa, dagli allevatori alle autorità sanitarie. È stato come un meteorite piombato addosso non solo alle aziende agricole ma anche a tutte le attività dell’entroterra ligure: agrituristi e attività che si occupano di outdoor.

Inizialmente, appena scoppiata la peste suina, sottolinea Stefano, c’è stato molto ritardo nel mettere a punto le misure giuste, non tanto per il contenimento della malattia, quanto per andare incontro alle esigenze degli allevamenti. Per esempio la prima perimetrazione della zona rossa, racconta Stefano, ha lasciato fuori completamente, in Liguria, i mattatoi. Quindi aziende come quella di Capenardo si sono trovate nell’impossibilità di macellare gli animali e cominciare a svuotare gli allevamenti.

“Solitamente noi macelliamo in val Fontanabuona ma il mattatoio dove andiamo noi è proprio a pochi chilometri dalla “linea rossa” quindi non abbiamo più potuto portare i maiali lì. E questo è stato un po’ un errore nella prima fase di perimetrazione, perché si doveva tener conto delle infrastrutture”, dice Stefano.

“Noi non ci siamo opposti all’idea di dover eliminare i maiali, perché capiamo la situazione di emergenza e le conseguenze della diffusione della peste suina, ma quello che ci ha lasciati un po’ perplessi è il fatto che non ci si sia organizzati fin da subito per consentire la macellazione invece di dover andare verso la distruzione di questi animali, causando non solo – come detto – un danno emotivo ma anche uno spreco alimentare incredibile”.

“Per questo – conclude Stefano – appena abbiamo avuto la possibilità di macellare, perché la zona rossa è stata, purtroppo, allargata, abbiamo organizzato le macellazioni. Speriamo che la Regione si attivi velocemente per aiutare le azienda agricole come la nostra a riconvertire l’attività produttiva in modo da non perdere gli ingenti investimenti fatti in questi anni”.

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