Genova. La Corte di assise di Genova presieduta dal giudice Massimo Cusatti ha condannato in primo grado i fratelli Alessio e Simone Scalamandré, a 21 e 14 anni di carcere. L’accusa per i due giovani era quella di aver ucciso il padre Pasquale al termine di una lite nell’abitazione dei due ragazzi nel quartiere di San Biagio, in Valpolcevera. Per le motivazioni della sentenza bisognerà attendere 90 giorni.
Alessio e Simone, per la precisione, era imputati di omicidio volontario in concorso, aggravato dal vincolo di parentela, aggravante che avrebbe impedito (a meno che non venisse accertata l’incapacità anche parziale di intendere e di volere al momento dei fatti) di comminare una pena inferiore ai 21 anni di reclusione. Proprio per questo l’avvocato difensore di Alessio, Luca Rinaldi, aveva chiesto alla Corte d’assise di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale e stamani il sostituto procuratore Francesco Cardona (che aveva chiesto rispettivamente 22 e 21 anni di carcere) aveva depositato una memoria in cui si dichiarava favorevole alla sospensione del giudizio in attesa di un pronunciamento della Corte costituzionale, ma la Corte d’assise ha deciso non non rinviare gli atti e di pronunciare la sentenza.
Per Simone Scalamandrè, tuttavia, i giudici hanno applicato l’articolo 114 del codice penale, una delle poche attenuanti che riesce a prevalere sull’aggravante della parentela ed è utilizzabile nei casi in cui il contributo dato da un imputato in un reato sia così “minimo” da non poter incidere sull’esito del reato stesso. Il richiamo all’articolo 114 era stato fatto dall’avvocato di Simone, Nadia Calafato durante le conclusioni. L’avvocato aveva chiesto l’assoluzione del minore dei due fratelli, che secondo quanto raccontato dagli stessi ragazzi non avrebbe partecipato all’omicidio, e in subordine l’attenuante del minimo contributo, che è stata accolta dalla Corte.
Il parricidio era avvenuto il 10 agosto del 2020 al termine di una lite quando la vittima, Pasquale Scalamandré, indagato per maltrattamenti nei confronti della moglie (la madre dei due ragazzi aveva trovato rifugio da qualche mese in una struttura protetta in Sardegna) era andato a casa dei figli chiedendo ad Alessio di ritrattare la sua testimonianza nei suoi confronti. L’uomo era stato colpito molte volte con un mattarello e altri oggetti.
Ala sentenza hanno assistito silenziosi e composti Alessio e Simone che sono usciti da palazzo di Giustizia accompagnati dai loro avvocati.
L’avvocato Luca Rinaldi, difensore di Alessio, soprattutto dopo il parere favorevole del pm aveva sperato che il tribunale sollevasse la questione di incostituzionalità della norma introdotta dal Codice rosso (che tutela il vicolo di parentela impedendo che la maggior parte delle attenuanti prevalgano sulle aggravanti) e riproporrà la questione in appello: “Sicuramente sarà uno dei tanti motivi di appello – spiega – dopo che avremo le motivazioni tra 90 giorni. Sicuramente è una sentenza che rispettiamo come ha dimostrato anche il comportamento dei ragazzi durante tutto il processo”.
Soddisfatti i legali di parte civile Stefano Bertone, Irene Rebora e Greta Oliveri: “Sentenza che rafforza la nostra convinzione sul fatto che i due imputati in maniera fredda e calcolata abbino ucciso il loro padre”.
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