Genova. Anche Genova ha avuto la sua storia di bustarelle ma non risale agli anni Novanta ma al 2008. Mensopoli, uno scandalo giudiziario legato ad affari di corruzioni per l’assegnazioni del servizio mense scolastiche del Comune di Genova, ebbe luogo ai tempi della giunta Vincenzi. Massimiliano Morettini, oggi imprenditore, al tempo era assessore ai Giovani, era stato presidente dell’Arci e una delle figure chiave del movimento durante il G8.
In un libro intitolato “Quella volta che sono morto” (Erga Edizioni) racconta dei sei giorni in cui si è ritrovato indagato, perquisito, privato della libertà e con la paura di essere arrestato per un qualcosa per cui, alla fine, non è mai stato rinviato a giudizio.
Mercoledì 26 gennaio alla libreria laFeltrinelli di Genova, alle 17 e poi alle 18.30 per via delle tante richieste di partecipazione, la presentazione del volume. Con l’autore, Davide Lentini giornalista genovese oggi speaker a Radio Montecarlo, e Bobby Soul nella veste di lettore.
“Quando è finita un’era” il sottotitolo del libro definito. “La testimonianza della spallata epocale data alla politica, da una vicenda apparentemente piccola, che ha anticipato il dibattito sul rapporto fra politica e cittadini”.
“In fondo Mensopoli aveva un significato che non è stato capito – scrive Morettini – ha significato un crollo ideologico e la rinascita di nuove idee e partiti in un’epoca in cui non c’era ancora la grancassa dei social. In mezzo a tutto, questo il libro è un rara testimonianza di voglia di raccontare, come per una catarsi. Non ha obiettivi di rivalsa o di vendetta, bensì quello di scrollarsi di dosso dopo anni il pensiero di essere “sporco”. Di venir “pensato come un essere sporco”.
“Esistono due trame, una evidente e l’altra sotterranea. Ma altrettanto violente, come violento è sentirsi accusato sui media e nei giudizi non detti delle persone – spiega il politico – è un libro che si legge d’un fiato. Ed è forse un tassello politico che travalica Genova e fa irrompere in Italia nuovi scenari politici che ancora oggi stiamo analizzando e che forse potremo spiegarci meglio a partire da quest’insolita testimonianza”.
“E allora, questo libro è diventato per me il modo di affrontare alcune questioni. Alcune più superficiali: aver vissuto un’ingiustizia, aver sperimentato la macchina del fango, aver visto violentata la mia reputazione. Sono cresciuto con la cultura della lotta alle ingiustizie, ma anche del rispetto delle istituzioni, compresa quindi la Magistratura. Dopo quei fatti, però, dolorosamente, ho provato un po’ meno rispetto. Giusto quello che si deve; giusto quello che serve per non abbandonarsi a sentimenti bestiali, incivili, populisti. Dopo quei giorni, ho letto la cronaca politico-giudiziaria, anche quella del passato, con altri occhi. E ancora oggi, quando sento certi appelli alla libera informazione mi viene la pelle d’oca”, scrive nella prefazione.
“Ma l’impellenza dello scrivere queste pagine non è nata da pulsioni politiche o culturali e men che meno di denuncia, rivendicazione o vendetta. Non ho sassolini da togliermi in pubblico. L’urgenza che ho avvertito è stata quella di fare i conti con me stesso. Con la fatica che ho fatto per non impazzire. Con il rimorso di aver involontariamente coinvolto la mia famiglia. Dovevo capire: perché le persone che mi volevano bene continuavano a volermene? E perché, invece, in tanti hanno avvertito l’urgenza di colpire a freddo un uomo a terra, già cadavere? “Ognuno ha la sua pietra pronta”, canta Guccini. Ed è vero, in generale. Drammaticamente ancora più vero a sinistra, casa mia”, conclude Morettini.