Genova. “Il corvo è coprofago, e il corvo non rispetta l’ordinanza”. Daniele Buschiazzo è il presidente del parco del Beigua, uno di quelli maggiormente interessati dall’ordinanza che limita la fruizione dei boschi del genovesato e del savonese a causa della diffusione della peste suina africana. “Non vorrei essere pessimista ma temo che la limitazione di un’area alle attività umane, tenendo conto anche delle poche risorse a disposizione dei forestali e delle Asl, non basterà a fermare il virus ma in compenso ammazzerà un’economia, quella legata al turismo all’aria aperta, che ha già dovuto subire due lockdown”.
Gli enti parco sono tra le realtà che più da vicino gestiscono e osservano la vita dell’entroterra. Nelle ultime ore si sono trovati davanti a una sorta di tsunami. Una misura di questo genere azzoppa attività che hanno impiegato anni a radicarsi e che finalmente stavano decollando.
Roberto Costa è il coordinatore di Federparchi Liguria: “La premessa è che si è giunti a una situazione critica per il dilagare a macchia d’olio della presenza dei cinghiali sul territorio, anche per una confusione di fondo fra l’attività venatoria, peraltro pienamente legittimata dalle normative nazionali, ma da considerarsi attività prettamente ludico-sportiva, e l’attività di selezione e contenimento della specie, che è altra cosa e deve essere praticata con altri strumenti e obbiettivi”, sottolinea Costa.
“Fatta questa premessa, che tuttavia dovrà servire per giungere una volta per tutte alla ricerca di soluzioni durature ed efficaci nel controllo di questo selvatico il problema, nell’attualità, è rappresentato dalle ordinanze del ministero della Salute e senza entrare nel merito dei provvedimenti va fatto presente tuttavia che la chiusura prolungata di interi territori montani ad attività importanti come escursionismo, MTB biking, turismo equestre, ricerca funghi, rischia di trasformarsi in un nuovo lockdown per un entroterra ligure già pesantemente colpito da due anni di pandemia portando alla chiusura di innumerevoli attività di ogni tipo il cui reddito proviene, del tutto o in parte, dalla presenza del turismo “outdoor”.
Rifugi, agriturismi, attività alberghiere, guide naturalistiche, accompagnatori turistici, centri educazione ambientale, produttori tipici, in particolare nei settori carne, miele, latte, formaggi, taglialegna, allevatori, centri turismo equestre. Un’intera galassia che vive e sopravvive attorno alla fruizione dell’entroterra.
“Basti pensare ai due giovani che proprio da poche settimane hanno preso in gestione il rifugio dell’Antola – riflette Costa – che al momento tecnicamente non è in zona rossa ma che di fatto potrà essere raggiunto, per ora, solo da Propata, e che a oggi non hanno alcuna certezza e alcun aiuto”.
Uno dei punti chiave della “nuova epidemia” è proprio quello dei ristori. Buschiazzo del Parco Beigua è il primo a sottolinearlo: “E’ evidente che la situazione è molto pesante che rischia di distruggere un comparto intero – afferma – bisogna che il governo oltre a chiudere preveda fondi a ristoro e investimenti, perché il problema non sono solo le attività che si fermano ma anche le manutenzioni di boschi, sentieri e strutture che, per tornare a regime, avranno bisogno di risorse. Capisco che la peste suina sia qualcosa che se arriva agli allevamenti rischia di avere una ricaduta pesantissima sul pil nazionale ma esistiamo anche noi“. La richiesta di ristori è arrivata anche dalle associazioni di categoria.
L’altra questione sono le deroghe. La Regione, in base al testo dell’ordinanza, è titolata a prevederle e stabilirle. E Federparchi e gli enti parco le chiedono da subito. “Chiediamo per esempio che i provvedimenti restrittivi alla mobilità pedonale e ciclabile siano quanto più possibile temporanei e provvisori, e che essi vengano comunque almeno graduati per livello di rischio territoriale e garanzie di pratica in sicurezza, ad esempio evitando chiusure totali ma esclusivamente indicando prescrizioni quali l’obbligo di seguire i sentieri segnalati, non portare cani, consentire l’accesso a gruppi controllati, guidati e numericamente limitati, in particolare se diretti a mete precise quali rifugi, altre strutture di accoglienza, beni ambientali, storici ed architettonici”.
O magari di obbligare a un cambio di scarpe, o alla pulizia delle ruote delle biciclette. Tutte cose difficili da controllare ma d’altronde anche i confini e i territori sterminati dei boschi in zona rossa non saranno controllabili al 100%. Anzi.
Un altro esempio? Il Castello della Pietra di Vobbia, appena finito di restaurare. Raggiungibile con un sentiero in 15 minuti, nel bosco. A oggi, in base all’ordinanza, non potrebbe essere visitato per sei mesi. “Non ha alcun senso”, osserva Costa.
“Questo è quasi un blocco – conclude Giulio Oliveri, presidente del parco del Beigua – se l’ordinanza non viene temperata con deroghe è un lockdown vero e proprio, prima il covid ora la peste, speriamo che la primavera risolva tutto”.
Il timore, però, è che l’ordinanza possa essere invece estesa. Dal Beigua all’Antola, in poco tempo potrebbe riguardare anche Aveto, Piana Crixia e Alpi Liguri, fino a quello di Portofino. Anche perché, i liguri lo sanno bene, i cinghiali sono ovunque. Anche in città.
leggi anche

Peste suina, il governo chiude i boschi di Genova: per sei mesi divieto di trekking e mountain bike
