Genova. Le nuove norme varate dal governo Draghi, entrate in vigore il 1° gennaio, “salvano” dalla quarantena i contatti stretti (se vaccinati con dose booster o a ciclo completo da meno di 4 mesi) ma non le persone positive al coronavirus. Secondo l’ultimo bollettino sono 12.890 i residenti in Liguria sottoposti a isolamento domiciliare, misura che può essere accorciata da 10 a 7 giorni solo per i “super-vaccinati” di cui sopra, a patto di non avere sintomi da almeno 3 giorni e di avere il referto di un tampone negativo. Condizione, quest’ultima, che risulta sempre più difficile da ottenere.
Si moltiplicano infatti le segnalazioni di persone contagiate che si vedono fissare il tampone molecolare anche dopo due settimane dalla segnalazione di positività derivante da test antigenico o dalla comparsa di sintomi compatibili col Covid. A Genova e dintorni l’unico centro della Asl 3 che li esegue è il drive-through di via Maggio a Quarto, preso d’assalto da 300 auto al giorno. Più di questo per il momento non si riesce a fare, in attesa di concentrare le attività di screening in un punto più spazioso come potrebbe essere piazzale Kennedy a partire da metà gennaio.
A parte il prolungarsi della quarantena fino a 10 giorni – trascorsi i quali si può uscire di casa anche senza tampone – il problema più grande riguarda il certificato di guarigione che dà diritto al green pass di tipo rafforzato, quello che dal 10 gennaio sarà obbligatorio pressoché ovunque, anche per salire sui mezzi pubblici. Per ottenerlo è necessario anzitutto risultare positivi (in questo caso il green pass dei vaccinati viene subito revocato) e in seguito risultare negativi.
Per i positivi confermati che finiscono in isolamento, l’unico modo di aggirare le lungaggini della Asl sarebbe pagare 15 euro per un test rapido in farmacia. Ma in realtà ciò che appare più difficile in molti casi è proprio l’accertamento della positività. È la situazione di coloro che hanno iniziato ad accusare i sintomi del Covid – e magari sanno di essere stati a contatto con un positivo – e si sono auto-segnalati per mettersi in isolamento. Finché la Asl non li chiama per fare il tampone molecolare, non vengono registrati come positivi. Il rischio è che il test, fissato a distanza di molti giorni dalla comparsa della malattia, alla fine risulti negativo, circostanza che impedisce di ottenere il green pass da guarigione e potrebbe costringere a fare la dose booster chi ha ancora molti anticorpi dopo l’infezione.
Ma non è l’unico vicolo cieco in cui si rischia di finire. Ci scrive una nostra lettrice che preferisce rimanere anonima: “Sono risultata positiva a un tampone antigenico in data 20 dicembre, la Asl ci ha contattato solo mercoledì scorso e il 31 dicembre io e tutti i componenti della mia famiglia abbiamo fatto il tampone molecolare in modalità drive-though. Solo mio figlio è risultato debolmente positivo, io sono negativa”. Quindi si può definire guarita? Non è così chiaro: “Al centralino della Asl mi hanno detto che, per essere riconosciuti come casi Covid, è necessario il molecolare e non basta l’antigenico. Il mio medico di famiglia sostiene il contrario”. Insomma, il caos regna sovrano.
Nell’arco dell’ultima settimana Genova24 ha tentato di chiarire la questione direttamente con la Asl 3, ma non ha mai ottenuto alcuna risposta. Secondo quanto riferito invece dall’ufficio stampa di Alisa a fine dicembre, “in attesa di conferma del molecolare, le misure di isolamento del caso indice e dei contatti possono iniziare a partire dalla positività del test antigenico rapido, nel rispetto indicazioni fornite nella circolare 705 del ministero della Salute dell’8 gennaio 2021. Il molecolare resta però il gold standard per la definizione di caso confermato”. Secondo il documento citato è sufficiente un test antigenico per definire un caso di positività in base a “criteri di laboratorio”. Alcune Regioni (Abruzzo, Emilia-Romagna, Toscana) hanno esplicitato che il test rapido è sufficiente, ma non la Liguria.
I “guariti fantasma” si troverebbero così costretti a violare loro malgrado le indicazioni del ministero della Salute, che in una circolare del 6 dicembre firmata dal direttore generale della Prevenzione, Gianni Rezza, indica la somministrazione della dose booster dopo un intervallo minimo di 5 mesi dalla diagnosi di avvenuta infezione. A nulla vale il test sierologico – che molti istituti privati offrono a pagamento – che non è riconosciuto come strumento diagnostico.