Le voci

“La verità si nasconde ma non si ruba”: Chiavari torna a fare i conti con l’omicidio di Nada Cella

In città si spera che questo caso, che turba gli animi oggi più che allora, si risolva al più presto, per rispetto nei confronti della mamma di Nada

Omicidio Nada Cella, via Marsala

Chiavari. “Casa nasconde ma non ruba” è un modo di dire per indicare che un oggetto perso in casa o in luogo familiare è lì che si trova, nessuno te lo ha portato via e se cerchi bene, prima o poi salta fuori. E “la speranza è l’ultima a morire”, è un altro modo dire che emerge dai racconti e dalle parole dei chiavaresi, che ricordano il caso di Nada Cella, la segretaria 24enne che il 6 maggio 1996 venne massacrata nello studio del commercialista Marco Soracco, in via Marsala 14, a Chiavari.

“Le indagini si sono concentrate fin da subito su una sola persona, Marco Soracco, senza un nulla di fatto. Secondo me, le forze dell’ordine che si sono occupate del caso non hanno cercato bene. Sono contento che siano ripartite le indagini, così finalmente c’è la possibilità che si arrivi ad una soluzione. La Cecere? Mai vista, se non in foto in questi giorni. Non so se c’entri davvero, altrimenti perché avrebbe conservato il motorino “incriminato”, su cui probabilmente ci sono macchie di sangue, per tutti questi anni?”

A parlare è il titolare del negozio di calzature di via Marsala dopo qualche settimana dalla notizia di una possibile svolta sul caso Cella, secondo cui gli investigatori pare abbiano trovato tracce di sangue sul motorino usato 25 anni fa da Annalucia Cecere, ex insegnante di 53 anni, oggi unica indagata per il delitto, inseguito alle ricerche della criminologa Antonella Delfino Pesce.

“Spero davvero tanto che questa brutta storia arrivi ad un punto, soprattutto per rispetto nei confronti della mamma di Nada, che merita verità e giustizia per la figlia”, conclude il negoziante.

Di fronte al negozio di calzature, dall’altro lato della strada, in via Entella, c’è un ferramenta in cui il titolare e i commessi affermano che la riapertura del caso Cella è una buona notizia, “speriamo davvero che la polizia trovi l’assassino di Nada, soprattutto per la madre, in modo che trovi almeno un po’ di pace”.

Proseguendo lungo via Entella si incontrano molte persone, soprattutto donne di mezza età con sacchetti della spesa in mano o intente a portare a spasso il proprio cagnolino.

Una di loro racconta di ricordare bene la storia di Nada Cella e di esserne rimasta molto colpita fin da subito per l’efferatezza con cui la segretaria è stata uccisa e pensa che le indagini non abbiano avuto successo in tutti questi anni perché gli investigatori non hanno saputo cercare nella direzione giusta.

Poi spiega: “Per anni i chiavaresi, soprattutto le ragazze, hanno avuto paura perché c’era la convinzione che un assassino senza scrupoli girasse inosservato per le vie della città. Oggi ad essere indagata è una donna, di cui si sa poco e niente, forse è la volta buona che le indagini abbiano preso il giusto verso?”

Poco dopo, una donna di media statura, con capelli bianchi e occhiali da vista, racconta con voce tremante e occhi lucidi di aver conosciuto Nada Cella di persona e di averle parlato diverse volte.

“Di Nada ricordo la sua bellezza, il suo carattere spiritoso e brillante; la sua famiglia, unita e semplice, persone per bene, gente che ha sempre lavorato. Quando ho saputo della tragedia, di Nada barbaramente uccisa, per me è stato un colpo al cuore, ho provato un dolore fortissimo come se mi avessero scaraventato a terra. Oggi prego tanto che si riesca a trovare il colpevole e porto la mamma di Nada nel cuore”.

Tornando indietro su via Entella, si arriva all’incrocio con via Marsala, la si percorrere tutta e si sfocia così in corso Dante. Appena dietro l’angolo, sulla destra, a 90 passi dallo studio del commercialista Marco Soracco, c’è la casa dove un tempo viveva Annalucia Cecere.

Lì una donna con il giornale sottobraccio racconta dello sconcerto in cui caddero i chiavaresi non appena si venne a sapere la notizia dell’omicidio di Nada, avvenuto in pieno centro, ad un passo da piazza Roma, il cosiddetto “salotto bello di Chiavari”, animato da professionisti e persone per bene.

Credo che qualcuno che sappia ci sia e credo anche che chi sappia e non parli sia da considerare responsabile tanto quanto l’assassino o l’assassina. Questa storia, per quanto sia sempre stata considerata drammatica e sconvolgente, turba e fa traballare gli animi di molti chiavaresi più oggi che allora“.

E conclude: “Chiavari è una città di provincia in cui una verità la si può nascondere ma non rubare, prima o poi si scoprirà come sono andate davvero le cose”.

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