Di certo, per una volta, c’è l’origine del nome: una derivazione francese, dovuta forse alle armate napoleoniche che in Val Bormida, fine ‘700, erano di casa (anche sulla costa, ad onor del vero). Il “subricco”, vanto della gastronomia di Dego, dovrebbe (il condizionale, anche se in questo caso la certezza è quasi totale) avere origine dal suo metodo di cottura, “sur la brique”, sui mattoni roventi in italiano, subricchi nel dialetto di Dego.
Ad avvalorare la tesi dell’origine napoleonica (ma “imbastardita” dalla contaminazione italiana, vedremo come) l’elemento principale della ricetta: la patata, arrivata dal Nuovo Mondo, “sdoganata” a livello alimentare da Parmentier, che per primo intuì che non si doveva mangiare cruda, ma cotta, bollita o alla fiamma.
Il “subricco” napoleonico (ricordiamoci sempre che assieme all’impianto burocratico il prefetto Chabrol portò nel Dipartimento di Montenotte, provincie di Savona e Imperia, più o meno, coltivazioni e gusto se non francese, francesizzante, patate comprese) era un impasto di patate bollite, uova, parmigiano (ecco la contaminazione italiana), erbe aromatiche. All’epoca si cuocevano sui mattoni o sulla stufa. Oggi si friggono in olio, diventando una sorta di crocchetta saporita ed elegante, che ricorda però quella rusticità che la faceva diventare parte del cibo quotidiano, magari da portare nel “mandillu” di chi andava a lavorare nei campi, e che poteva riscaldare su una pietra rovente.
Scrive l’amico Sergio Rossi su Liguriafood: “La loro estrema versatilità li elegge ‘cibo moderno’ che può essere gustato dall’aperitivo, all’antipasto, al contorno. Senza contare la grande apertura a piccole varianti della ricetta base, che rendono personalizzabile il prodotto finito. In questo senso i subricchi sono un cibo senza tempo con il grande pregio di essere semplice, sano ed economico, quasi una rappresentazione perfetta della cucina ligure”.
Come non concordare? Però bisogna abbinarci un vino, e qui arriva il difficile: meglio un bianco o un rosso? Siamo in Liguria, dove spesso i vini si travestono, io ci abbinerei un onesto Sciac-a-trà, ormeasco rosato a metà tra bianco e rosso.
“Liguria del gusto e quant’altro” è il titolo di questa rubrica curata da noi, Elisa e Stefano, per raccontare i gusti, i sapori, le ricette e i protagonisti della storia enogastronomica della Liguria. Una rubrica come ce ne sono tante, si potrà obiettare. Vero, ma diversa perché cercheremo di proporre non solo personaggi, locali e ricette di moda ma anche le particolarità, le curiosità, quello che, insomma, nutre non solo il corpo ma anche la mente con frammenti di passato, di cultura materiale, di sapori che si tramandano da generazioni. Pillole di gusto per palati ligustici, ogni lunedì e venerdì: clicca qui per leggere tutti gli articoli.