Genova. C’è un prima e un dopo l’alluvione del 2011 del Fereggiano a Genova, di cui oggi ricorre il decimo anniversario. C’è un prima fatto di scarsa consapevolezza, di promesse non mantenute, di prevenzione ignorata, di rassegnazione collettiva dopo una tragedia che forse era diventata lontana, quella del 1970. E c’è un dopo fatto di processi in tribunale, di opere tangibili, di investimenti nel sistema di protezione civile che però non possono bastare per dormire sonni tranquilli. Nel mezzo c’è la vita di sei persone: Serena Costa, Angela Chiaramonte, Evelina Pietranera, le piccole Janissa e Gioia con la mamma Shpresa Djala. Portate via dal fango e dall’incuria.
La mattina del 4 novembre 2011 la città si sveglia con l’allerta 2, il massimo grado della scala in vigore allora, anche se pochi conoscono il suo reale significato. Nonostante i sottopassi sbarrati dalle cancellate la vita è quella di sempre, scuole comprese. Alle 13.00 sull’alto bacino del rio Fereggiano, che sovrasta la zona di Marassi, sono già caduti 300 millimetri di pioggia e il livello idrografico è già salito di 3 metri. Poco dopo arriva la piena, incontenibile, ingestibile: il Fereggiano esplode nella via che porta il suo nome e ingoia nella sua furia tutto ciò che trova. Una ragazza di 19 anni scompare davanti agli occhi del fratellino appena uscito da scuola. Le altre cinque vittime, tra cui due bambine, finiscono annegate nell’androne di un palazzo.
Per questi fatti l’ex sindaca Marta Vincenzi ha concordato nel processo d’appello bis una condanna a tre anni per omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso. Un mese fa il tribunale di sorveglianza le ha concesso l’affidamento ai servizi sociali. Per la Cassazione “la macchina allestita dal Comune fu colposamente insufficiente e inefficiente”. Un “processo ingiusto“, secondo Vincenzi, perché non ne deriva “alcuna giustizia alla città. D’ora in avanti, visto che non sono stati individuati i punti su cui si poteva migliorare e dove gli errori umani si sono verificati, ogni volta che accadrà qualcosa sarà difficile recuperarne il senso”.
Oggi, dicevamo, è tutto diverso. L’acqua del Fereggiano, in caso di forti precipitazioni, viaggia in buona parte verso il mare grazie allo scolmatore in funzione ormai da due anni dopo essere stato iniziato e interrotto negli anni Novanta. Una galleria lunga quasi 4 chilometri con un diametro di 5,2 metri e una portata massima di 160 metri cubi al secondo che “disinnesca” il rio all’altezza di via Pinetti, a monte dell’esondazione del 2011 (replicata, pur con meno violenza, nel 2014). Costo totale dell’opera 40 milioni, 25 di origine governativa (Piano nazionale per le città e Italia Sicura) e 15 finanziati dal Comune di Genova. Quest’anno sono terminati anche i lavori delle due briglie selettive che scongiurano l’intasamento della presa e la messa in sicurezza idraulica del rio Finocchiara, che insieme al rio Molinetto forma il Fereggiano in località Pedegoli.
Nel 2011 Massimo Ferrante era presidente della commissione Lavori pubblici della Provincia di Genova. L’anno dopo sarebbe diventato presidente del Municipio Bassa Valbisagno, ruolo che conserva tuttora dopo una rielezione. “La prima cosa che ho fatto è stata incontrare i parenti delle vittime. Dopo quell’alluvione è cambiato tutto, in quel momento c’è stata l’inversione di rotta. Abbiamo deciso che dovevamo investire tutto sulla sicurezza idrogeologica e abbiamo lavorato perché i governi Renzi e Gentiloni dessero a questa città le maggiori cifre mai viste in questo settore, anche se c’è stata poca comunicazione – racconta oggi -. Ricordo che c’era una fronda politica da affrontare in città, perché la sinistra estrema e il Movimento 5 Stelle votavano contro lo scolmatore. Quell’opera è stata il discrimine, con un ritardo di 41 anni, tra grandi operazioni urbanistiche di facciata e opere che magari non portavano consenso ma servivano a portare avanti la città. Perché una città in cui 6 persone muoiono in centro non può andare da nessuna parte”.
In Bassa Valbisagno, oltre allo scolmatore del Fereggiano, ci sono altre opere collegate da ultimare. Nel 2017 è partito il cantiere per lo scolmatore del rio Rovare, interrato sotto San Fruttuoso e capace di esondazioni distruttive: manca solo il bypass, cioè l’innesto alla galleria del Fereggiano, opera che dovrebbe concludersi nei prossimi mesi. Allo stesso tunnel si collegherà pure il rio Noce, ugualmente nascosto sotto il nucleo urbanizzato di San Fruttuoso ma non per questo meno pericoloso, i cui lavori sono in partenza proprio in questi giorni e dovrebbero terminare nel giro di due anni.
“Ma non dobbiamo illuderci che Genova abbia risolto il problema con gli scolmatori – avverte Ferrante, che di lavoro fa l’architetto oltre al presidente di Municipio -. Se torneranno precipitazioni come quelle registrate in Sicilia o qualche settimana fa a Rossiglione non c’è opera che tenga. Il problema principale resta il dissesto dei versanti, che nascondono anche rii tombinati e sconosciuti di cui nessuno conosce più nemmeno l’esistenza. Genova è stata costruita a gradinate, ma il cemento armato ha una durata di sessant’anni. Quello che stiamo vivendo è il decennio della scadenza”.

Allora quale potrebbe essere la soluzione? “Come si è introdotto il bonus 110% per l’efficientamento energetico bisognerebbe creare un bonus per il recupero dei versanti in sinergia coi privati – propone Ferrante -. Quella tra tessuto urbano ed entroterra è una linea sottile, e se nessuno si occupa dei versanti antropizzati la mancanza di cura si ripercuote anche sui corsi d’acqua. Se arrivasse una frana all’improvviso e sbarrasse il corso di un rio, cosa avrebbe risolto lo scolmatore? Andrebbero creati canali per cui i privati che abitano in contesti critici siano invogliati a fare manutenzione con agevolazioni fiscali e specifici finanziamenti. La retorica non può essere risolvere tutto con le grandi opere. Altrimenti tragedie simili accadranno di nuovo”.

Oggi, ovviamente, sarà soprattutto il giorno del ricordo. Le celebrazioni inizieranno alle 10 in piazza Galileo Ferraris, accanto al monumento commemorativo, con un evento organizzato dall’istituto comprensivo Statale “Marassi” al quale interverranno il sindaco Marco Bucci, il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e vari rappresentanti delle istituzioni. Ci saranno anche le compagne di classe di Gioia Djala, che quel giorno perse la vita. Un albero di ulivo sarà poi piantato all’interno del cortile della scuola. Alle 10.30 autorità e parenti delle vittime si sposteranno all’incrocio tra corso Sardegna e corso De Stefanis dove, nei pressi della targa commemorativa, verranno deposte corone e fiori e sarà osservato un minuto di silenzio. Le cerimonie si concluderanno alle 10.45 a Borgo Incrociati, all’incrocio con piazza Giambattista Raggi prima delle gallerie, con la deposizione di una corona seguita da un minuto di silenzio in memoria di Antonio Campanella vittima dell’alluvione dell’ottobre 2014.
“Commemorare è giusto e importante per non dimenticare mai quello che è successo, ma il miglior modo di rendere onore alla loro memoria è far sì che quanto accaduto non riaccada mai più: per questo abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare per ridurre il rischio idraulico e rendere Genova, e tutta la Liguria, più sicure – commentano il presidente Giovanni Toti e l’assessore alla Protezione civile Giacomo Giampedrone -. Da questo ottobre la foce del Bisagno è passata da zona rossa a zona gialla dal punto di vista della pericolosità idraulica. Un risultato di grande importanza, conseguenza diretta della conclusione dei lavori di copertura del torrente, conclusi a maggio scorso, che hanno portato da 450 a 850 metri cubi al secondo la portata”.
Manca ancora lo scolmatore del Bisagno: “Un’altra grande opera che garantirà ulteriori 450 metri cubi di portata d’acqua al secondo: sommando a questi quelli garantiti dalla nuova copertura si raggiungerà un totale di 1300 metri cubi di portata al secondo, una quantità d’acqua che, secondo i modelli statistici, può verificarsi mediamente una volta ogni 200 anni”.