Infezione

Scabbia al San Martino, è giallo sull’origine del contagio: “Se avete sintomi chiamate il 112”

I sei infermieri infetti erano tutti dello stesso turno. Il direttore sanitario Orengo: "Possibili comportamenti non adeguati da parte del personale"

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Genova. È ancora da stabilire la causa che ha portato sei infermieri del pronto soccorso del San Martino di Genova a contrarre la scabbia. Il contagio è stato accertato oggi e il policlinico ha subito attivato la misure di prevenzione per bloccare sul nascere la possibile espansione della malattia. Nel frattempo sono partite le indagini epidemiologiche per capire come sia arrivato il parassita in ospedale: l’ipotesi più probabile è che all’origine della catena ci sia un paziente, ma la struttura di igiene dovrà fare luce anche sul rispetto delle norme di sicurezza da parte del personale.

“Manterremo l’unità di igiene all’interno del pronto soccorso per 10 giorni consecutivi in modo da aumentare il livello di sicurezza – spiega il direttore generale del policlinico Salvatore Giuffrida -. È una malattia che colpisce l’immaginario, ma non è grave, anche se è altamente contagiosa. È piuttosto frequente in luoghi dove c’è affollamento, come strutture residenziali e asili nido. Non è la prima volta che succede, al San Martino come in altri ospedali. Stiamo rivalutando coi professionisti dell’unità di dermatologia tutto il personale del pronto soccorso. Se dovessimo notare sintomi su qualcuno, lo isoliamo subito a casa”.

Per la scabbia non esiste una profilassi, quindi l’unico modo di proteggersi è individuare i casi ed evitare che possano propagare il contagio. Ad accorgersene per primo è stato un infermiere che ha notato arrossamenti e croste sulla pelle di un collega: da lì sono partite le indagini su quelli che erano in turno con lui, poi via via sugli altri professionisti. E, secondo quanto accertato finora, i sei infermieri contagiati erano stati a contatto durante lo stesso turno di lavoro. Ad oggi si trovano tutti in isolamento, sottoposti a una normale terapia.

Ma che cos’è di preciso la scabbia e come si manifesta? “Si tratta di un acaro, un parassita che determina una sorta di infezione cutanea – spiega Chiara Dentone, infettivologa del San Martino -. Il problema è che, se si sviluppa in alcune comunità, può propagarsi e dare più casi. Perché avvenga il contagio deve esserci un contatto prolungato, cioè almeno 6-8 ore, con la pelle di una persona infetta o con indumenti, ad esempio scambiandosi una felpa o usando le stesse coperte”. La letteratura medica comprende tra le cause di trasmissione anche i rapporti sessuali.

Quella del San Martino, a differenza di quanto comunicato inizialmente dal policlinico, non è scabbia norvegese: “Con questo termine si intende una forma particolarmente grave e crostosa che colpisce soggetti con compromissione del sistema immunitario o molto anziani. Colpisce quindi a seconda della risposta immunitaria del soggetto”, prosegue Chiara Dentone. Nessuno dei casi riscontrati presenta una situazione di questo tipo.

La diagnosi solitamente è clinica. Il sintomo più evidente è il prurito che “si manifesta soprattutto nelle pieghe tra le dita, sotto le ascelle, sull’inguine, e si accusa specialmente durante la notte. A livello cutaneo si osservano lesioni particolari, macchie che a volte presentano croste: sono i cunicoli dove poi si annida la femmina per deporre le uova“. La terapia prevede l’assunzione di un antiparassitario (permetrina) per via cutanea, con una seconda dose somministrata dopo sette giorni, oppure un trattamento per bocca con ivermectina che di solito si riserva ai casi più severi. Durante questo periodo il paziente deve evitare contatti prolungati con altre persone.

Ora il pronto soccorso, assicura la direzione del San Martino, è completamente sicuro e fruibile dai pazienti dopo la completa sanificazione terminata nel primo pomeriggio. Ma al momento non è possibile escludere che dagli infermieri la malattia sia stata trasmessa ad altri pazienti. “Se qualcuno dovesse notare croste o arrossamenti dopo essere stato al pronto soccorso deve chiamare il proprio medico di base o contattare il 112 – spiega il direttore generale Giuffrida -. È preferibile attendere che sia il nostro personale a fare una valutazione a domicilio e isolare una persona infetta piuttosto che presentarsi in autonomia e aumentare così il rischio di propagazione”.

Resta da accertare quale sia stata la dinamica del contagio visto che, a differenza del coronavirus, la trasmissione non avviene attraverso le vie respiratorie e quindi non basta un ambiente chiuso a veicolare il morbo. Il periodo di incubazione varia da 4 a 6 settimane, quindi potrebbe essere particolarmente complesso risalire al momento in cui l’acaro della scabbia è entrato al San Martino.

“In effetti l’osservanza delle norme anti-Covid, come l’uso dei guanti, dovrebbe scongiurare anche questo genere di infezione”, riconosce l’infettivologa Dentone. “I comportamenti del personale sono oggetto di monitoraggio costante e possono essere fonte di situazioni non adeguate – ammette Gianni Orengo, direttore sanitario del San Martino -. È possibile che siano avvenuti contatti o comunque che siano state affrontate pratiche assistenziali in pazienti non riconosciuti come portatori della malattia, magari per una scarsa attenzione. I contatti tra pazienti e personale ci sono, è difficile capire come sia arrivato il parassita”.

“Escludiamo che possa essersi propagato ad altri reparti dell’ospedale, ma stiamo comunque facendo il giro per individuare eventuali sintomi – conclude Giuffrida -. È una patologia che si vede con maggiore frequenza rispetto a prima perché sono aumentati i contatti tra persone, ma non è nulla di infrequente. Abbiamo deciso di comunicarlo perché non devono esserci segreti, ma d’altra parte stiamo intervenendo in maniera mirata e puntuale e manteniamo alta l’attenzione”.

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