Genova. A quasi un mese dalla deflagrazione del caso del “palazzo dei migranti” in via del Campasso, il municipio resta in attesa di una data per un incontro con la prefettura e sei dei quattordici interni del civico 14 sono stati assegnati ad altrettante famiglie, tra cui un nucleo afghano piuttosto numeroso. Si tratta dei richiedenti asilo collocati in un edificio acquistato nei mesi scorsi da un privato e seguiti dalla cooperativa Lanza Del Vasto, già attiva con altri Cas in città.
La vicenda è balzata agli onori della cronaca qualche settimana fa per la reazione dura del comitato e dei cittadini del quartiere sull’arrivo dei migranti. “Non siamo razzisti ma in questo modo non si riqualifica una zona già depressa” hanno ripetuto i residenti del quartiere.
Ieri, finalmente, c’è stato però un incontro tra il comitato, alcuni rappresentanti del Municipio e la cooperativa Lanza Del Vasto. La rappresentante della società Angela Galasso ha provato a spiegare ai presenti la genesi dell’operazione, a ribadire che tutto è stato fatto nell’ambito delle normative in materia, e ad assicurare che la volontà è quella di portare miglioramenti al Campasso e di favorire l’integrazione.
“Il punto è che non credo che mettere delle persone in un palazzo senza aiutarli a imparare la lingua o un mestiere possa essere una forma sensata di accoglienza e integrazione”, riassume il presidente del municipio Centro Ovest Michele Colnaghi.
Sì perché tra le domande rivolte alla referente della cooperativa c’era anche quella se fossero stati predisposti percorsi di formazione di qualche genere. “Ma ci è stato detto che al momento solo i minori sono stati iscritti a scuola mentre per gli adulti non ci sono progetti in ballo”, continua Amedeo Lucia, consigliere municipale Pd e residente al Campasso. Insieme al collega di partito Fabio Papini e al consigliere di LeU Mariano Passeri, non è stato soddisfatto dall’incontro.
L’unico plus che la cooperativa si è proposta di dare al quartiere è la riqualificazione di un giardino dietro all’edificio che però – fa notare Lucia – “si trova in area allagabile, quindi non si può sfruttare in sicurezza”.
Uno degli altri punti sollevati è stata l’assenza di comunicazione sull’apertura del Cas con il territorio, la mancanza di un presidio fisso (anche se Lanza del Vasto sostiene di effettuare controlli quotidianamente con alcuni operatori) oltre che le lacune di una pianificazione che non tiene conto del tessuto sociale degli spazi dove si vanno a realizzare i Cas.
“Sicuramente sia il privato che ha acquistato e affittato l’edificio sia la cooperativa si sono mossi nel perimetro della normativa – afferma Mariano Passeri, LeU – ma questo significa ancora una volta che la legge non va bene, va ripensata, non è possibile che l’organizzazione dei Cas non preveda che ci siano progetti di integrazione, una comunicazione specifica ai territori e una valutazione sullo stato dei territori stessi, in questo modo si rischia di determinare situazioni di intolleranza e difficile convivenza”.
La presidente dei comitato del Campasso Matilde Gazzo ha ribadito che la realizzazione del Cas è stata niente di diverso che una “speculazione immobiliare fatta tenendo i cittadini all’oscuro”. E in effetti che un privato abbia deciso di acquistare un intero edificio in una zona come il Campasso senza avere la certezza di poterlo affittare lascia quantomeno qualche dubbio sulla casualità degli accadimenti.