Genova. C’erano anche otto genovesi tra i ‘giganti’ che una settimana fa hanno concluso il Tor des Géants, quasi 350 chilometri e 24 mila metri di dislivello da percorrere a piedi in un’unica tappa con un tempo massimo di 150 ore. Il Tor è nientemeno che il giro della Valle d’Aosta che attraversa tutti i 4 mila delle Alpi (Monte Bianco, Monte Rosa, Gran Paradiso e Cervino), i giganti appunto, che maestosi vegliano sui concorrenti lungo tutto il percorso. E’ il sogno degli ultratrailer ed è considerato la gara più dura. Ma il Tor è qualcosa di ben oltre una gara di trail e solo chi ha attraversato i suoi sentieri può raccontarlo.
Per questo Genova24 ha chiesto ad Alessandro Montani, Pietro Grondona e Federico Roncagliolo della Sisport, Anna De Biase, Andrea Tozzato e Francesca Billi della società Trm, Walter Bosio della Gau e Diego Polotti di provare a riassumere le emozioni di questo straordinario viaggio.
Francesca e il Tor solidale: “Corro anche per quelle mamme che sono donne ultra ogni giorno”
“Nei peggiori momenti di crisi, che sono stati innumerevoli, ho pensato alle mamme di questi ragazzi che vedono in me una mamma particolare perché faccio le ultra, ma in realtà a fare le ultra ogni giorno sono proprio queste mamme. Io faccio finta perché la mia fatica aveva e ha sempre una scadenza: a casa ho due ragazzi sani e spettacolari, un buon lavoro, disponibilità economica. E sono queste mamme che mi hanno dato forza”. Francesca Billi era al suo terzo tentativo di finire il Tor e questa volta ce l’ha fatta. E non è arrivata da sola al traguardo: c’è arrivata spingendo la carrozzina di Caterina insieme a mamma Angelica. “Io sono uno spingitore di carrozzine – racconta – e al Tor le carrozzine hanno sempre fatto la partenza, mai l’arrivo. Mamma Angelica è una grande fan di questa manifestazione, oltre che un’amica e quest’anno ha preso ferie tutta la settimana perché c’ero io. Così le ho proposto di fare l’arrivo insieme, una proposta un po’ impegnativa visto che il Tor è un percorso talmente grande che non sai davvero se ce la farai, ma ce l’ho fatta. Dovevo finire nella golden hour perché c’era bisogno di visibilità per questo arrivo e poi non era concepibile che Caterina fosse svegliata in piena notte per arrivare al traguardo. Con Angelica mi anno aspettato fuori da Courmayeur: non ho chiesto autorizzazioni perché non è detto che ce leavrebbero date. Ho inforcato la carrozzina e io, che dalla discesa del Bertone non riuscivo più quasi a camminare a causa delle vesciche sono arrivata correndo al traguardo. Chi mi ha visto ha parlato di un miracolo e per me comunque con l’abbraccio e le lacrime di Angelica sono valse la fatica sovrumana di quei giorni”.
Pietro e Federico: da medici in prima linea a ‘giganti’, insieme fino al traguardo
Pietro Grondona e Federico Roncagliolo sono due medici legati da una profonda amicizia. Pietro il Tor l’aveva già fatto nel 2016. Voleva tornarci per migliorarsi, ma nel frattempo è arrivato il Covid e per lui, medico al Villa Scassi di Genova, per un anno e mezzo le priorità sono state altre: salvare vite, cercando anche di non ammalarsi a propria volta e tutelare la sua famiglia. “Per due anni resisti e sopprimi le immagini e i pensieri di un incubo – racconta Pietro – il supporto psicologico è fondamentale, ma sai che non ti basta. Resisti aspettando l’occasione per prenderti un po di tempo per te stesso, per ritrovare quel silenzio interiore che ti offra l’occasione di affrontare quello che il frastuono del quotidiano ti impone di nasconderti. Poi arriva il momento dell’iscrizione al Tor e ti accorgi che il 2021 sarà l’anno in cui non ci sarà sorteggio”. E così nonostante i pochi chilometri nelle gambe Pietro accetta la sfida e ogni paura dopo quella vera del Covid sembra troppo ridicola per costituire un vero ostacolo. Insieme a Pietro c’è Federico, che di lavoro fa l’ortopedico all’ospedale Galliera. In comune oltre al lavoro la passione per gli ironman ma per Federico si tratta del primo Tor. I due amici sono costretti a partire in due ‘batterie’ diverse a causa delle regole covid, ma si aspettano per condividere “ogni passo, ogni silenzio, ogni crisi, ogni lacrima di questo viaggio indescrivibile per chi non ha il coraggio di provarlo – dice Pietro – lasciamo che la stanchezza, il sonno e la montagna entrino dentro di noi e aprano quei cassetti che avevamo chiuso a doppia mandata in armadi in stanze segrete. Solo il Tor riesce a far convergere la poesia della Natura, della solitudine, della fatica fino nei meandri più profondi di noi stessi”. “Sapevamo sarebbe stato complicato stare insieme ed infatti lo è stato – spiega Federico – ma arrivare mano nella mano al traguardo ha ripagato ogni sacrificio. Le notti stellate in alta quota ammirate con la frontale spenta, le albe ed i tramonti sui passi sono le immagini che mi porterò nel cuore così come il supporto dei tanti volontari e amici lungo il percorso”. Non sono mancati i momenti duri “a cominciare dalle vesciche comparse dopo i primi cento km ma sono rimasto davvero stupito nel vedere come il fisico si adattasse alla mancanza di sonno. il primo sonno vero l’ho fatto a Champoluc dopo 220km. Certo qualche piccola allucinazione c’è stata ma temevo molto peggio”.
Diego e il primo Tor: “Mi sentivo un po’ Fantozzi, ma mi sono goduto ogni momento”
“Alla fine ho anche perso sette chili” dice con una certa fierezza Diego Polotti che mette le mani avanti: “Ancora non riesco a mettere in fila tutti i ricordi e mi sa che ci vorrà ancora un po’”. Ma le emozioni anche per lui, che era al suo primo Tor, sono state tantissime, dall’inizio alla fine: “Già arrivare a Courmayeur e vedere gli allestimenti e gli striscioni, poi preparare e consegnare la borsa era tutto emozionante. La sera prima della partenza mi sudavano le mani e mi sentivo un pò Fantozzi quando diceva di essere un azzurro di sci, ma poi al momento del via è passato tutto: sapevo di essere dentro una cosa più grande di me, ma ho incontrato un amico che mi ha dato due dritte e l’incitamento delle persone gà all’inizio della gara ha fatto il resto”. Paura di non farcela? “Mai ho pensato davvero di mollare ma in una delle prime salite di notte non sono stato benissimo ed è stato fondamentale il supporto di un temporaneo compagno di viaggio che mi ha aiutato ad arrivare al bivacco. I momenti belli sono stati moltissimi, ma passaro il colle del Malatrà, che era anche l’ultimo cancello, è stato un momento che mi ha dato grande serenità e gioia perché da lì era solo un portare le gambe a Courmayeur. Poi la mattinata di sole e lo spettacolo del monte bianco del Grand Jorassrs sono stati il quadro finale di questo viaggio”. Tra le cose da portare a casa “ci sono i compagni di viaggio, che trovi per caso ma con i quali vivi emozioni così intense che poi si trasformano in amicizie perché sai che forse da solo non ce l’avresti fatta. E anch’io spero di aver aiutato qualcuno ad andare avanti e ad arrivare in fondo a quello che solo poco tempo fa considerano completamente al di fuori dalla mia portata.
Alessandro, il ‘prof’ che sta bene “dove finisce l’erba e cominciano le rocce”: sul suo blog le tappe verso il Tor
Per Alessandro Montani, che nella vita insegna lettere in una scuola media, il Tor non deve essere visto come una sfida con se stessi né tantomeno deve essere vissuto con l’ideologia che oggi va tanto di moda del ‘Se lo puoi sognare lo puoi fare’. “il Tor è anzitutto una grande esperienza in montagna – ricorda il prof – molto faticosa e potenzialmente pericolosa perché scendere per un sentiero a 2800-3000 mila metri magari di notte e quando si ha sonno è potenzialmente pericoloso. Per questo anche nella mia preparazione ho puntato molto sull’andare in montagna, camminare e fare esperienza in quota e in alta quota”. Alessandro ha parlato a lungo della sua preparazione al Tor nel suo blog Il ballo dei Zanzoni, dall’alimentazione all’allenamento ai materiali che avrebbe portato in gara. “C’è poi un aspetto competitivo che non nascondo ogni volta che indosso un pettorale e certamente al Tor avevo un obiettivo, non tanto di piazzamento quanto di tempo: mi sarebbe piaciuto restare sotto le 100 ore e fino a Gressoney ero sicuramente in linea per farcela. Poi la gara si è mostrata più difficile rispetto al mio stato di forma quindi ce ne ho messo 116”. Il momento più emozionante? “Sembra scontato ma l’arrivo al Malatrà è un momento di forte emozione, nonostante io ci sia arrivato di notte e non abbia potuto vedere di fronte a me il monte Bianco, ma è stato un po’ l’avvicinarsi alla fine di un viaggio che ho fatto quasi sempre da solo. I momenti belli invece sono stati moltissimi vale a dire ogni volta che mi sono trovato sopra il 2500 metri perché a quella quota, dove finisce l’erba e rimangono le rocce, mi sento nel mio, nel posto in cui mi piace stare”.
Anna e Andrea: il Tor come un sogno di coppia tra viaggio e riscatto
Anna De Biase e Andrea Tozzato sono una coppia affiatata e un po’ speciale, di quelle che il sabato sera, alla cenetta romantica al ristorante, preferiscono la luce di una frontale per affrontare una notturna. Anna e Andrea i loro momenti liberi dal lavoro li passano sui sentieri, da soli o in coppia o ancora, accompagnati dai loro fedelissimi compagni a quattro zampe Sofia e Mac. Entrambi ultratrailer questo Tor l’hanno sognato e preparato insieme. Per Anna era il primo, per Andrea il secondo ma per entrambi non è stato un anno facile per la preparazione. Andrea in particolare ha subito un grave incidente: “E’ stato investito da un’auto mentre era in bici a settembre – racconta Anna – con frattura scomposta dell’anca e sei mesi a letto. Per lui arrivare a questo Tor è stato un grande riscatto e mi ha convinto a provarci a mia volta anche se pensavo di non avere nelle gambe tutti questi chilometri. Nel frattempo anche io ho avuto una preparazione un po’ così dovuta a diversi infortuni tra cui uno strappo lungo e profondo a ridosso della gara”. Un viaggio sognato insieme ma sui sentieri poi Anna e Andrea si sono separati: “Andrea ha avuto delle vertigini dopo la prima salita così mi ha detto di andare avanti al mio passo. Sono partita e poco dopo ho incontrato Walter Bosio: ci siamo trovati per caso e poi siamo rimasti insieme perché stavamo bene e avevamo lo stesso passo. Paura di non farcela? “Mai perché mi sono gestita bene: ho dormito e anche mangiato, cosa che in gara non faccio mai, e siamo arrivati in fondo un po’ doloranti ma lucidi. Qualche allucinazione l’abbiamo avuta ma mai momenti di crisi”. Anna è arrivata con Walter alle 19 di venerdì: sono andata a dormire e alla 5 mi ha chiamato Andrea che stava arrivando, così all’arrivo ci sono andata due volte”. Nei progetti di Anna c’è certamente quello di ripetere il Tor o perché no “magari fare con Walter il Tor des Glaciers visto che siamo arrivati sono le 130 ore”.
Walter e il sogno che diventa realtà tra paesaggi, emozioni e la sorpresa di un viaggio condiviso
Walter Bosio sognava questa gara da anni e da anni la preparava. “Ho cercato di allenarmi in strada, fuori strada e in palestra. Ho cominciato prima con il trekking, poi ho scoperto la corsa quello che ho fatto principalmente è stato quello allungare le distanze negli anni, sempre gestendo da solo la preparazione”. Paura di non farcela? “Alla partenza mi tremavano le gambe dall’emozione ma vivere il tor mi ha regalato emozioni inimmaginabili. Sono state cinque notti e sei giorni dove affronti salite, discese, problemi meteo ma vedi anche paesaggi meravigliosi e vivi emozioni intense anche grazie agli altri atleti che trovi sulla tua strada. Ma il Tor è anche una grande sofferenza: lotti contro il sonno, la stanchezza e i dolori fisici.
Walter non immaginava però che questo viaggio l’avrebbe condiviso con Anna: “io non sono abituato ad andare con altri, ma mai avrei pensato di fare un viaggio cosi insieme. Io ed Anna ci siamo trovati alla base di Cogne e sportivamente abbiamo visto che c’era una grande affinità tanto sul passo quanto sui recuperi. Così ci siamo sostenuti e divertiti e siamo arrivati insieme: è stata una bellissima sorpresa”.