Genova. Se la quota di autisti non vaccinati dovesse corrispondere a quella della popolazione generale, il servizio di trasporto pubblico garantito da Amt Genova sarebbe a forte rischio: è l’allarme che arriva dai sindacati di categoria a pochi giorni dall’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto che estende l’obbligo di green pass a tutti i lavoratori pubblici e privati con sospensione dello stipendio per chi non si adegua.
Durante l’ultimo incontro tra l’azienda e le parti sociali alla fine della settimana scorsa è stato stimato che il 20-30% del personale addetto alla guida al momento sarebbe sprovvisto di green pass, a meno che non si sottoponga costantemente al tampone. I numeri precisi, com’è noto, non sono disponibili perché si tratta di informazioni sottoposte a tutela della privacy.
“Se così fosse, vorrebbe dire che 100-200 autisti non potrebbero lavorare, e questo dal 15 ottobre comporterebbe problemi sul servizio dal punto di vista degli organici perché il personale è già al massimo dello sforzo – spiega Andrea Gamba, segretario ligure della Filt Cgil -. Anche chi dovesse decidere all’ultimo di vaccinarsi non farebbe in tempo ad avere il certificato. Siamo preoccupati per l’organizzazione, le aziende di trasporto pubblico non funzionano come le scuole”.
Anzitutto si partirebbe da un vizio di forma, come ricorda Edgardo Fano, segretario della Faisa Cisal: “L’autobus non è un luogo di lavoro, e noi saremmo ben contenti che lo fosse perché le norme di tutela sarebbero migliori, ma secondo la legge è un mezzo di lavoro. Quindi un autista a bordo non sarebbe obbligato ad avere il green pass. Se lo fosse sarebbe un paradosso perché i passeggeri che trasporta potrebbero essere tutti non vaccinati. Il problema, comunque, sarebbe l’accesso alla rimessa, e questo in effetti riguarderebbe tutti gli autisti all’inizio o alla fine del servizio”. Le verifiche sarebbero affidati a controllori o ispettori, e anche questo creerebbe numerosi malumori tra lavoratori.
Dunque sembra impossibile che il personale di guida possa sfuggire all’obbligo. E nonostante la posizione pro-vaccini, la linea dei sindacati nei confronti di chi lo rifiuta è comune: “Se il tampone è un elemento che fa parte della sicurezza, come il vaccino, allora dev’essere a carico del datore di lavoro“, sostiene Gamba. E così anche Santo Pugliese della Fit Cisl: “Le aziende devono pagare i tamponi e fare pressione sulla politica perché questi soldi vengano restituiti dal Governo, altrimenti rischiamo il collasso di tutte le aziende”. Per Fano “stanno cercando surrettiziamente di imporre l’obbligo vaccinale attraverso il green pass. È una follia che i tamponi siano a carico dei lavoratori”. D’altra parte, pagare un tampone molecolare a chi non vuole vaccinarsi costerebbe almeno 120 euro a dipendente: “A quel punto – riflette Pugliese – chi si è vaccinato avrebbe diritto di arrabbiarsi”.
La Uil ritiene che il tema sia di competenza confederale e affida la propria posizione a una dichiarazione del segretario ligure Mario Ghini: “Siamo dell’avviso che l’interesse collettivo debba superare l’interesse personale. Come sempre, terremo gli occhi ben aperti per evitare discriminazioni di altra natura camuffate dal rispetto del decreto. Ribadiamo la posizione già ampiamente espressa al Governo: la Uil non è disponibile a far ricadere i costi della sicurezza sul lavoro sulle spalle di lavoratrici e lavoratori, ma è favorevole, in generale, alla vaccinazione. Abbiamo firmato protocolli importanti per poter procedere nei luoghi di lavoro all’immunizzazione, oggi questa stretta pone un tema serio che va ancora affrontato e regolato attraverso una rivisitazione di quegli accordi con un dialogo responsabile e serrato con Governo e imprese”.
Nei prossimi giorni sono previsti nuovi incontri sia a livello nazionale sia a livello locale con Amt. Che, dal canto suo, per ora non entra nel merito della questione: “È ancora prematuro, attendiamo le indicazioni governative”.