Roma. È caos totale sui controlli del green pass per la ristorazione al chiuso e tutte le attività per cui è obbligatorio il possesso della certificazione verde dallo scorso 6 agosto. Dopo le parole della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, secondo cui gli esercenti dovranno controllare i green pass ma “non potranno chiedere la carta d’identità ai clienti“, oggi ci ha pensato il garante della privacy a rimescolare le carte in tavola.
In risposta a un quesito rivolto dalla Regione Piemonte, l’Autorità ha precisato che “le figure autorizzate alla verifica dell’identità personale sono quelle indicate nell’articolo 13 del Dpcm 17 giugno 2021 con le modalità in esso indicate, salvo ulteriori modifiche che dovessero sopravvenire”. E tra i soggetti elencati dal Dpcm ci sono anche “i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi” che possono richiedere agli intestatari della certificazione verde di esibire un documento d’identità.
Di fatto, dunque, il garante della privacy ha smentito la ministra dell’Interno. A fare chiarezza doveva essere una circolare del Viminale attesa nella giornata di oggi, ma al momento in cui scriviamo nessun documento risulta arrivato a questure e prefetture. Oggi, durante il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in prefettura a Genova, il tema è stato affrontato in maniera molto marginale proprio perché mancavano indicazioni chiare su come comportarsi.
I titolari e i dipendenti dei locali, come avevamo raccontato in diretta all’esordio delle nuove misure, sono dotati dell’app Verifica C19, scaricabile da chiunque sul proprio smartphone: si tratta semplicemente di scansionare il QR Code mostrato dal cliente e il sistema mostra solo se la certificazione è valida, il nome e cognome e la data di nascita. A quel punto bisognerebbe verificare che l’identità della persona corrisponda a quella che appare sul dispositivo. Per farlo l’esercente dovrebbe chiedere un documento d’identità ed è qui che sorge l’interrogativo: può farlo o no?
Nell’ipotesi in cui i ristoratori e in generale i gestori delle attività coinvolte non possano verificare l’identità dei clienti, è facile capire che i controlli da parte loro saranno sostanzialmente inutili: chiunque potrebbe mostrare un codice falso o appartenente a un’altra persona. A quel punto le verifiche sarebbero affidate del tutto alle forze di polizia e ai pubblici ufficiali (ad esempio gli agenti di polizia locale) che organizzerebbero controlli a campione per sanzionare i trasgressori. E adesso, dopo la pronuncia dell’Autorità garante, la nebbia si è ulteriormente infittita.